L’Olanda alle urne

Oggi in Olanda si vota per rinnovare la Tweede Kamer, la Camera bassa del Parlamento. Sono in ballo 150 seggi che verranno contesi da 28 liste. La sfida per la guida del Paese riguarderà essenzialmente due forze politiche: il Partito per la libertà e democrazia (Vdd) dell’attuale primo ministro Marke Rutte e il Partito delle libertà (Pvv) di Geert Wilders. I sondaggi prevedono un testa-a-testa tra le due formazioni. Essendo escluso che una forza politica da sola possa superare la metà più uno dei voti, stabilire chi conquisterà la maggioranza relativa è decisivo giacché alla lista che avrà ottenuto più seggi spetterà di costruire la coalizione di governo.

Com’è noto, Marke Rutte se vincesse, potrebbe rieditare, numeri permettendo, la coalizione che oggi guida il Paese. Più difficile invece sarebbe la posizione di Geert Wilders con cui gli altri partiti non intendono associarsi, a causa delle posizioni estremiste in fatto di politiche anti-immigrazione, anti-islamiche e anti-Unione europea presenti nel programma elettorale del Pvv. Può darsi, dunque, che alla fine la spuntino i moderati pronti a fare blocco contro l’avanzata del populismo. Ma sarà comunque una vittoria dimezzata, almeno per due ragioni. In primo luogo, come l’esperienza – anche italiana – insegna, le “sante alleanze” contro qualcuno o qualcosa hanno il fiato corto. Troppe differenze, malamente celate dal pretesto di fare muro contro l’avanzata del nemico, non sono il migliore viatico per una costruttiva azione di governo di lungo raggio.

Ora, l’odierna coalizione guidata da Rutte riflette lo schema un tempo vincente nell’Unione europea della “Grosse koalition” ma che di recente è andato in crisi. In Olanda la Vdd, partito di radici liberal-conservatrici ha negoziato l’accordo di governo con il Partito del Lavoro (Partij van de Arbeid, PvdA) di espressione socialdemocratica, aderente al gruppo del Pse. Se oggi questa soluzione dovesse uscire penalizzata dalle urne, Marke Rutte dove andrebbe a cercare i voti parlamentari per conservare la premiership? Aggregando anche i Cristiano-democratici del Cda, i centristi di “D66” e gli ecologisti Verdi? Ne verrebbe fuori un minestrone indigesto. Secondo motivo: durante la campagna elettorale sia il partito di Marke Rutte che le altre formazioni moderate, allo scopo di prosciugare il bacino di consenso del Pvv, hanno proposto soluzioni forti, in particolare sullo stop all’accoglienza degli immigrati che, in Olanda, rappresenta il tema sensibile per eccellenza. Basta guardare i numeri per farsi un’idea.

La popolazione olandese conta 16 milioni e 800mila persone, delle quali 13 milioni e 200mila sono autoctoni mentre un milione e 700mila sono extracomunitari e altrettanti sono i residenti con cittadinanza di Paesi della Ue. Si comprende bene che una comunità che deve contenere e gestire un 10 per cento di individui portatori di culture e religioni allogene, non agevolmente integrabili nel suo tessuto sociale e culturale, possa avere reazioni di rigetto nei confronti dell’accoglienza “No-limits”. Ma se a scimmiottare la destra radicale sono i moderati, è legittimo chiedersi perché gli elettori non dovrebbero preferire alla brutta copia Rutte l’originale Wilders? Di certo i buoni dati dell’economia, che pongono il Pil olandese nel 2017 oltre la soglia del 2 per cento, con un tasso di disoccupazione in caduta al 5,2 per cento, ampiamente sotto la media europea, dovrebbero favorire il governo uscente. Ma la paura di essere coinvolti, dalle autorità centrali europee, nel risanamento dei disastrati conti pubblici dei Paesi della fascia meridionale dell’Unione europea potrebbe stimolare la maggioranza degli olandesi a tentare, sulle orme della Brexit, una “Nexit”.

Perciò, l’odierno risultato è destinato a pesare sul futuro dell’Unione e sull’esito delle prossime tornate elettorali in programma nei principali Paesi dell’Ue. Una sconfitta di un soffio di Geert Wilders si aggiungerebbe all’altra sconfitta, sempre di un soffio, in Austria del candidato alle presidenziali Norbert Hofer del partito di destra FPÖ. Ma andando di questo passo, di soffio in soffio, da qualche parte in Europa la destra radicale e populista prima o dopo la spunterà.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:09