Epurazioni in Turchia,  il caso Kaboğlu

In Turchia, altri 330 docenti universitari sono stati licenziati con l’ultimo Decreto di emergenza, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7 febbraio 2017, semplicemente perché oppositori di Erdoğan. L’elenco comprende i nominativi dei pubblici dipendenti licenziati a seguito del fallito colpo di Stato del luglio 2016. Questa volta si tratta di 4464 nomi. Tra essi, ci sono 330 accademici, cui è stato cancellato anche il loro diritto alla pensione e sono stati ritirati i passaporti.

Le informazioni sul numero degli accademici licenziati in tronco dal luglio 2016 non sono univoche. Alcune fonti parlano di un totale di 4811 docenti, altre di 7316. Si tratta, in ogni caso, di un numero ben superiore rispetto a quello dei docenti universitari licenziati dopo i colpi di Stato del 1960, 1971 e 1980.

Quel che è evidente è che, con il pretesto di combattere i seguaci di Fetullah Gülen, in realtà, il governo di Erdoğan si sta sbarazzando di tutti i suoi oppositori: giudici, professori universitari, funzionari nei ministeri, nell’esercito, giornalisti nella stampa e negli altri mezzi di comunicazione. L’accanimento contro i docenti universitari è particolarmente feroce ed è paragonabile solo a quello nei confronti dei giornalisti.

Tra i Dipartimenti universitari più colpiti dal provvedimento del 7 febbraio ci sono, com’era prevedibile, le Facoltà di Scienze politiche e di Scienza della comunicazione di Ankara, voci tra le più critiche e attente.

Queste informazioni mi arrivano da una fonte diretta, per il tramite della collega Tania Groppi dell’Università di Siena, che si sta prodigando per far conoscere le gravi discriminazioni cui sono sottoposti alcuni colleghi turchi da parte del regime, ormai islamico, di Erdoğan.

Una delle vittime delle “epurazioni” è il professor Ibrahim Kaboğlu, dell’Università di Marmara, un uomo mite, dai capelli candidi e la voce calma, amatissimo dai suoi studenti, che lo fermano, lo toccano, lo seguono nei corridoi dell’Università, tanto è amato. Il professor Kaboğlu, oltre ad essere professore di diritto costituzionale assai noto in patria e all’estero (insegna regolarmente in diverse università francesi), è uno strenuo combattente per lo Stato di diritto. È perseguitato da sempre, perché questo è il destino dei veri democratici in Turchia. Prima da parte dei governi dei militari, oggi degli islamisti. È stato recentemente ospite al Meeting di Rimini nel 2015, dove ha denunciato, con voce calma e ferma, lo sguardo determinato, l’involuzione autoritaria del regime di Erdoğan.

Il licenziamento di Ibrahim Kaboğlu ha avuto particolare risonanza sia in Turchia che a livello internazionale. Da un lato, c’è la levatura della sua figura, la sua presenza in tutte le battaglie per la garanzia dei diritti. Dall’altro, c’è l’imminente referendum costituzionale del 16 aprile, cui Ibrahim Kaboğlu si sta opponendo, denunciando l’impossibilità di condurre una campagna referendaria libera e corretta durante lo stato di emergenza.

L’involuzione autoritaria e islamica della Turchia - con connotati politici, culturali e religiosi ben definiti -, rappresenta un’assoluta novità. È la prima volta che ci troviamo a fronteggiare un fenomeno di questa portata in uno Stato dell’area europea, a partire dalla Seconda guerra mondiale.

La Turchia, a seguito dell’azione congiunta del processo di internazionalizzazione delle università, si è integrata progressivamente nel sistema universitario europeo. Da ciò derivano molteplici legami diretti tra università turche e università europee. Deve continuare l’Università italiana a intrattenere i propri rapporti culturali con le Università turche “epurate”, oppure è bene manifestare segni di motivata rottura? È questa una grande questione, aperta. Una delle tante la cui soluzione non può essere soltanto nazionale ma dell’Europa intera.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:08