Affrontare negli Usa l’antisemitismo

venerdì 3 marzo 2017


Nessuno nasce già con l’odio dentro di sé, ma ad alcuni purtroppo viene insegnato ad odiare, in nome della purezza della razza, di una dottrina religiosa, di un dogma politico, di stereotipi etnici o per pura e semplice gelosia; la lista è lunga. Neanche a dirlo, gli ebrei non sono stati mai immuni a questo cancro di antica data, e non lo sono neppure oggi.

Nelle ultime settimane ci sono state dozzine di allarmi bomba nei centri delle comunità ebraiche del Paese. Altre istituzioni ebraiche come sinagoghe, scuole e altre organizzazioni sono state oggetto di telefonate e messaggi minatori. Nei cimiteri di St. Louis e di Philadelphia sono state dissacrate lapidi ebraiche, scritte e messaggi di stampo nazista sono apparse a Buffalo, mentre sono state date alle fiamme delle svastiche nel corridoio di fronte alle stanze di una scuola dove alloggiavano studenti ebrei; questi sono alcuni esempi.

È vero che questa non è la sola realtà esistente: la maggioranza degli ebrei americani vive in tranquillità e sicurezza, in una terra le cui porte sono loro aperte, e dove in un recente sondaggio del Pew Research Center è stato dimostrato che gli ebrei sono il gruppo religioso visto in maniera maggiormente positiva negli Stati Uniti. Ma questo non è di gran conforto per coloro che hanno avuto esperienza diretta o indiretta di questa recente ondata di bigottismo e brutalità.

Rimane da vedere chi ci sia dietro tutto questo. Sono individui isolati? Quanti sono? Sono collegati l’un l’altro tramite ideologie e fedeltà condivise, oppure sono amorfi e atomizzati? È in atto anche un fenomeno di emulazione?

Mentre attendono con ansia la notizia che i colpevoli sono stati catturati e processati, in memoria recente non c’è mai stato un tale numero di ebrei americani tanto scossi da quanto sta accadendo.

D’improvviso, alcune decisioni cominciano a prendere nuovi significati. I genitori che mandano i propri figli presso gli asili ebraici e le comunità ebraiche si stanno comportando in maniera responsabile? Ci sono altri luoghi che gli ebrei dovrebbero evitare di frequentare?

Dopotutto, se persino il sonno eterno di coloro che sono sepolti in un cimitero ebraico viene disturbato da chi è deciso a calpestare la loro memoria, quale mai potrà essere un luogo sicuro oggi?

Il problema non è proprio nuovo. Ci furono degli assalti violenti nei centri delle comunità ebraiche in California nel 1999, nello stato di Washington nel 2006 e in Kansas nel 2014. Ma pur essendo eventi tragici, si trattava più che altro di casi isolati; niente a che vedere con la situazione attuale, capillare attraverso tutto il Paese.

Cosa si può fare di concreto?

Prima di tutto ci sono le forze dell’ordine. Nessun altro possiede i mezzi per investigare, identificare e perseguire chi prende parte a queste azioni delittuose. Dalle realtà locali a quella nazionale, le nostre autorità - che, va sottolineato, devono ricevere un sostegno politico totale - devono dedicare maggiori risorse per affrontare e porre fine al pericolo, coordinando allo stesso tempo l’intelligence e le azioni. Ci hanno detto che questo sta cominciando ad accadere, ed è gratificante sapere che l’Fbi e la Divisione dei Diritti civili del Dipartimento di Giustizia si stanno occupando del caso.

In secondo luogo, l’espressione “se vedi qualcosa, dì qualcosa” sarà forse diventato un cliché per molti americani, ma è sempre importante ricordarlo. È impossibile per le forze dell’ordine essere onnipresenti, sia per le strade che negli spazi virtuali. I loro sforzi possono trarre grande beneficio se coadiuvati da chi vigila su attitudini e comportamenti violenti, sia contro gli ebrei che contro altre comunità etniche, razziali o religiose.

In terzo luogo, i pilastri della società civile - leader religiosi, sostenitori dei diritti civili, media, insegnanti ed individui - giocano un ruolo assolutamente fondamentale. L’antisemitismo non è una materia che tocca solo gli ebrei. Piuttosto, dovrebbe essere considerato come un problema di portata molto più ampia.

Dopotutto, l’antisemitismo, come qualunque altra forma di razzismo, viola ogni norma in cui si autodefinisce l’America. Lacera il tessuto che compone la nostra società democratica e pluralista. Mette in discussione il rispetto reciproco e la coesistenza che formano il cuore dell’esperimento americano. Se un gruppo viene preso di mira, tutti i gruppi sono a rischio.

E infatti, nell’ondata di minacce e azioni antisemitiche delle ultime settimane, abbiamo assistito ad atti di violenza contro altre comunità vulnerabili, tra cui l’uccisione - che pare sia stata motivata dall’odio razziale - di un ingegnere indiano nel Kansas.

Come disse il Reverendo Martin Luther King, “Dobbiamo imparare a vivere assieme come fratelli o morire assieme da stupidi”.

Una risposta particolarmente commovente ed educativa all’antisemitismo avvenne a Billings (Montana) nel 1993, dopo che fu dissacrato un cimitero ebraico e ci fu un tentativo di omicidio di un bambino ebreo in casa propria, dove era visibile dalla finestra una menorah.

Seguendo l’esempio del capo della polizia e di un redattore del quotidiano locale, migliaia di residenti ritagliarono la menorah stampata ne “The Billings Gazette” per esporla dalle finestre di casa propria, come per dire ai bigotti: “Siamo tutti ebrei. Dovrete venire a prenderci tutti. Non rimarremo in silenzio, non ci nasconderemo”. La strategia ebbe successo. L’antisemitismo non è scomparso del tutto, ma la maggioranza si espresse con forza, riuscendo così ad isolare le persone prese dall’odio.

Più recentemente, l’immagine del vicepresidente Mike Pence all’opera assieme ai cittadini di St. Louis - tra cui ebrei e musulmani - per rimettere a posto il cimitero ebraico danneggiato è stato un altro esempio del potere della collaborazione e del destino condiviso.

Quando a Rabbino Hillel gli viene chiesto, duemila anni fa, di riassumere la Torah rimanendo in bilico su un piede solo, rispose: “Non fare al tuo vicino ciò che per te è odioso”.

Mentre i nostri rappresentanti dell’ordine e al governo sono impegnati nel loro importantissimo lavoro, e si domandano quali altri mezzi possano avere a disposizione, dovremmo ricordare che in ogni religione principale del mondo è presente un precetto simile, noto come la “regola aurea”.

Quando ci domandiamo come agire in questi tempi difficili, forse quello potrebbe essere un buon punto di partenza, che ci porta a ricordare le parole immortali pronunciate nel 1966 dal senatore Robert F. Kennedy: “Ogni qualvolta un uomo si batte per un ideale o opera per migliorare la condizione degli altri o lotta contro l’ingiustizia, invia un minuscolo impulso di speranza e tutti questi impulsi provenienti da milioni di centri di energia e intersecandosi gli uni agli altri possono dar vita ad una corrente capace di travolgere i più possenti muri dell’oppressione e dell’ostilità”.

Auguriamoci allora tanti impulsi di speranza!

(*) Direttore esecutivo dell’American Jewish Committee


di David Harris (*)