Parlamentari per la   pace: summit in Corea

Il 15 febbraio dello scorso anno, presso l’Assemblea nazionale di Seoul, 150 parlamentari provenienti da oltre 40 nazioni si sono riuniti per la fondazione dell’Associazione internazionale dei parlamentari per la pace. Nel corso del 2016 è stata inaugurata in ogni regione del mondo una sede dell’associazione. Ad un anno di distanza, oggi sono 360 i parlamentari eletti nei parlamenti di 260 nazioni che partecipano al Summit mondiale, che anche quest’anno si tiene la prima settimana di febbraio in Corea del Sud. Per comprendere al meglio l’importanza di tali lavori ne discutiamo con Roberto Rampi, filosofo, scrittore e deputato italiano che collabora con l’Associazione internazionale dei parlamentari per la pace.

Può descriverci il perché della nascita e cosa propone di fare l’Associazione internazionale dei parlamentari per la pace?

Si tratta di scambiare esperienze, competenze, strategie. Di comprendere la dimensione globale del nostro agire politico e personale. E si tratta di tenere in piedi il tema della pace come obiettivo finale di un cammino che combatta tutte le forme di violenza e di non comprensione delle differenze culturali per trarre gli elementi positivi e superare quelli negativi: i fondamentalismi prima di tutto.

Stiamo seguendo il suo lavoro a Seoul dove si tiene il primo incontro dell’Associazione dei parlamentari per la pace che lei ha contribuito a fondare lo scorso anno a Londra. Sono presenti parlamentari da tutto il mondo, ex capi di Stato, leader religiosi ed esponenti della società civile. Quali sono gli argomenti prioritari presenti sul tavolo dei lavori?

Ci sono molti temi comuni: la lotta alla povertà e alle disuguaglianze. L’inclusione. La diffusione della cultura e dell’educazione. Le catastrofi ambientali e lo sviluppo di una società ecologica. Tutti temi unificanti sui quali sono state presentate esperienze concrete da ogni angolo del pianeta.

Quali sono le problematiche transnazionali affrontate durante i lavori in Corea, e che sintonia di visione politica possiamo ritrovare tra il mondo orientale e quello occidentale?

Guardare i problemi della povertà, dell’economia, della cultura e dell’educazione, la coscienza ecologica e delle migrazioni in chiave transnazionale è l’unico modo per risolverli. Oggi nelle politiche nazionali vanno di moda le semplificazioni. E le chiusure su se stessi. Ma sono un imbroglio. Ci sono molti punti di contatto, ma di certo un approccio olistico appartiene di più alla cultura orientale, così come una certa dimensione spirituale che vede la religiosità come un elemento integrato alla modernità e alla dimensione scientifica. La maggior sintonia tra i presenti indubbiamente riguarda la lotta alle disuguaglianze e alla violenza, e anche l’aspetto ecologico e la priorità educativa. Su questi temi sono emerse moltissime sintonie.

Recentemente, lei si è recato in missione in Africa, con la collaborazione degli attivisti Antonio Stango, Eleonora Mongelli e Yuliya Vassilyeva, rappresentanti delle Ong “Nessuno tocchi Caino” e Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, nel tentativo di coinvolgere anche gli Stati di questo Continente nella battaglia internazionale per la moratoria delle esecuzioni capitali. Può descriverci questa esperienza?

È stata un’esperienza di grande valore, che ha prodotto risultati concreti. La chiave è il rispetto delle altre culture. Non possiamo presentarci come europei che vogliono insegnare i diritti umani. Peraltro, spesso, non ne avremmo nemmeno i requisiti. Partendo dalla comprensione delle diverse storie e culture si può costruire un percorso comune. È ciò è stato possibile. Qui a Seoul ho ritrovato rappresentanti di quei Paesi.

Secondo lei quali sono le maggiori problematiche del Continente Africano e quale potrebbe essere il vero contributo dell’Europa e dell’Occidente?

Il grande tema dello sviluppo economico a cui si associa quello della lotta alla povertà e dell’accesso all’educazione e alla salute. Si è parlato molto di questo qui in Corea. E poi c’è il tema della democrazia e della corruzione, della violenza e dei diritti umani. L’Africa è una grande occasione e una grande opportunità, in particolare per l’Europa. Bisogna avere il coraggio di lavorare in termini di co-sviluppo e di pensare alle risorse per l’Africa con un piano per veri investimenti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:10