Obama last minute, ed ecco Putin. Israele?

È difficile, ma non impossibile, trovare nella storia dei presidenti Usa, chi di loro ha fatto peggio. Di certo, questo Barack Obama last minute è il più valido concorrente alla primazia, nonostante l’esempio a dir poco pessimo dell’indimenticabile Jimmy Carter. La vicenda dei trentacinque hacker russi espulsi dagli Stati Uniti perché sospettati di interferenze elettorali è, per dirla con non pochi amici americani che pur stanno nello stesso partito di Obama, “the last but not the least” delle disperate gesta obamiane. Disperate nel senso che arrivano alle soglie dell’abbandono della Casa Bianca con l’arrivo di un Donald Trump che, al netto delle innate sbruffonate, rischia di apparire (di diventare?) il rimediatore dei danni del presidente democratico, peraltro non poco criticato al suo interno. La proclamazione di una nuova Guerra fredda fra Usa e Russia non soltanto è antistorica ma, soprattutto - e non solo per quanto attiene alle trentacinque spie digitali cacciate via di cui sarà quasi impossibile scovare prove concrete - è in pura perdita, in ispecie laddove la presenza americana in Medio Oriente ha da sempre rappresentato un elemento indispensabile per una zona tormentata ed ora sull’orlo del vulcano Isis.

Il capolavoro obamiano ha raggiunto due vette, peraltro contigue, con un abbandono duplice: quello del Medio Oriente più inquieto a Vladimir Putin e quello, parallelo e ancora più grave, di Israele. Si dirà: “Israele rimarrà sempre un alleato degli americani, non fosse altro per la sua essenza di unico Paese democratico in un’area di 23 Paesi islamici che della democrazia se ne fanno quasi sempre un baffo perché non insita “naturally” e “historically” nel loro humus religioso”. Ed è giusta ma non così facilmente realizzabile la tesi dei due Stati, Israele e Palestina; ma Abu Mazen è, per dir così, relegato in un angolo per la drastica riduzione del conflitto storico israelo-palestinese giacché il conflitto vero è oggi quello fra Arabia Saudita e Iran sullo sfondo del Moloch sanguinario dell’Isis che sovrasta col Califfato l’intero mondo musulmano. Un mondo nel suo complesso incapace sia di compattarsi contro, sia, soprattutto, di sciogliere il nodo tremendo che incatena quegli Stati alla religione maomettana fonte di scontri, più che religiosi, di civiltà, presenti e futuri, ché il detto libera Chiesa in libero Stato raggiunto da noi europei a costo di guerre terribili oltre due/trecento anni fa, non è nemmeno comprensibile in quei Paesi dove a nessuno, o quasi, verrebbe in mente il “libera Moschea in libero Stato”. Figuriamoci.

Su questo scenario l’abbandono, secondo Trump temporaneo, di Israele e del suo leader Netanyahu (di destra, e con ciò?) ha trovato nel braccio destro presidenziale John Kerry un iperattivo sostenitore con la decisiva astensione Usa sulla delibera Onu che condanna come illegali gli insediamenti israeliani nella West Bank, allineandosi per di più con altri Paesi, nel silenzio assordante dell’Europa. L’Europa, questa sconosciuta, è sparita da quel Medio Oriente dove non soltanto Israele è l’unica nazione democratica nel cui contagioso futuro obamiano si vorrebbe salutare il prima possibile la nascita al suo fianco del ventiquattresimo Stato islamico, ma ci vivono e prosperano i terroristi Isis in giro per le nostre strade, italiane ed europee. Sullo sfondo di un’emigrazione di massa di migliaia di infelici, da Paesi sconvolti da guerre e povertà, costretti a fuggire verso di noi, spesso annegando nel mare una volta “nostrum” ed ora “monstrum”.

La colpevole assenza degli Usa da quella zona è addirittura esemplare nella vicenda della Siria dove Putin ha saputo mettere un marchio sia come paladino della pace sia nell’attivismo diplomatico politico con la realizzazione di alleanze fra Turchia e Iran anti-Isis che nella sua rappresentatività di elemento stabilizzatore e, dunque, indispensabile. Il disimpegno degli Stati Uniti dal Medio Oriente ha dunque posto le basi della crescita della leadership mondiale di Putin cui, per soprammercato, verranno imposte sanzioni per la sua politica espansionistica (vedi la Crimea) che è comunque iscritta nell’albo irreversibile del “cosa fatta, capo ha”. Brillanti davvero i risultati di Obama al cui coronamento pare sia indispensabile la nascita del ventiquattresimo Paese, islamico e antigiudaico come tutti gli altri ventitré. Ma gomito a gomito con Israele, madre della cultura occidentale giudaico-cristiana. Complimenti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:01