Il dramma di Aleppo

Tutti abbiamo visto in televisione Omran, il bambino di Aleppo fotografato subito dopo essere stato estratto dalle macerie dell’edificio in cui abitava. Omran non piangeva; era frastornato, stupito. Cercava di togliersi dal volto la polvere ed il sangue. Un bambino di cinque anni, testimone perfetto del fatto che le guerre non risparmiano niente e nessuno.

Eppure, tra i tantissimi commentatori intervistati dagli organi di informazione, ci è sembrato di cogliere accenti stonati; tanto più stonati quando espressi da persone che rendevano dichiarazioni in qualità di rappresentanti di Organizzazioni non governative che operano nel settore del volontariato. Sembrava, infatti, che tutto questo orrore avesse un unico responsabile: il Governo siriano di Bashar al-Assad e la Russia che lo sostiene. Rappresentanti ufficiali di importanti Organizzazioni di volontariato non governative dovrebbero sapere che potranno operare più efficacemente se è riconosciuta la loro neutralità rispetto alle parti belligeranti; così come serve davvero a poco piagnucolare che occorre imporre la pace subito!

In Siria, almeno dal 2012, si svolge una sanguinosissima guerra civile e le vittime fra la popolazione inerme (bambini, donne, vecchi) non sono cadute da una parte sola. Fino all’estate dell’anno scorso (2015) sembrava che la sorte del regime siriano di al-Assad fosse segnata. Gli organi d’informazione diffondevano mappe che dimostravano come l’Isis ed altri gruppi combattenti controllassero ormai la quasi totalità del territorio siriano, eccetto Damasco, che pure era minacciata da vicino. Quando la Russia ha deciso di intervenire e le dinamiche della guerra guerreggiata hanno cominciato ad invertirsi, è successa una cosa curiosa: i medesimi organi di informazione hanno diffuso nuove mappe del territorio, da cui risultava che la presenza dell’Isis in Siria era in fondo marginale (Raqqa e poco più), perché gli altri gruppi armati ribelli sarebbero stati niente meno che “moderati” e “filo-occidentali”. Ci vuole proprio una grandissima faccia tosta nel presentare i combattenti del Fronte di al-Nusra, per intenderci quello che ancora controlla una parte di Aleppo, come “moderati”. Al-Nusra è una filiazione di al-Qaida. Ricordate l’attentato terroristico che determinò la distruzione delle torri gemelle a New York nel settembre del 2001? Due semplici domande. Prima: al-Nusra vuole imporre con la forza la sharia, ossia la legge islamica, a tutti gli abitanti? Seconda: al-Nusra, esattamente come l’Isis, perseguita tutti i non credenti nell’Islam rettamente inteso (islamici sciiti, cristiani di tutte le osservanze, altre minoranze religiose, pagani)? La risposta ad entrambe le domande è sì. Sarebbe questa la formazione “filo-occidentale”?

Bisogna avere chiaro cosa sia diventata la guerra, in relazione al progresso scientifico e tecnologico che ha reso possibile la produzione di armamenti sempre più distruttivi. Le armi sempre più distruttive possono essere usate anche da coloro che, in un conflitto, teoricamente stanno dalla parte giusta. Si pensi all’aviazione inglese e americana che, per affrettare la conclusione della seconda guerra mondiale in Europa, iniziò a bombardare grandi città con il deliberato intento di raderle interamente al suolo, come nel caso di Dresda nel febbraio del 1945. Si pensi all’aviazione degli Stati Uniti che, per affrettare la conclusione della seconda guerra mondiale in Asia, sganciò bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, nell’agosto del 1945. Di fronte ad episodi come quelli richiamati, si smarrisce la distinzione fra buoni e cattivi. In modo pianificato si decide di togliere la vita, non a forze combattenti, ma a centinaia di migliaia di persone inermi che costituiscono la popolazione civile. In questi casi, ciò che sicuramente viene sconfitto e mortificato è il sentimento di umanità, che dovrebbe derivare dalla coscienza di appartenere all’unica specie umana. Non si cada nell’errore di pensare che Dresda e le bombe atomiche sul Giappone siano episodi isolati. Per limitarci alla storia recente della nostra Italia, basti richiamare alla memoria qualche fatto: lo sbarco alleato in Sicilia (iniziato nel luglio del 1943) fu preceduto e accompagnato da importanti bombardamenti aerei delle maggiori città siciliane, come Palermo e Messina. Le bombe non cadevano soltanto su obiettivi militari, ma anche al centro delle città, dove c’erano edifici di civile abitazione. Sempre nel luglio 1943 ci fu il bombardamento aereo di Roma, in particolare nel quartiere San Lorenzo, ed il Papa del tempo, Pio XII, accorse subito per portare conforto alla popolazione. L’elenco potrebbe essere molto lungo, purtroppo; ci limitiamo a ricordare che, ad esempio, anche Milano fu oggetto di violenti bombardamenti aerei.

Bisogna avere chiaro che, quando una guerra è in corso, è quasi impossibile presentarsi a chi sta vincendo militarmente e chiedere che si fermi. La risposta sarà che non può fermarsi, perché anni ed anni di guerra civile non sono stati uno scherzo, e ci vuole rispetto anche per i tanti che sono morti combattendo per la propria causa. Il ritorno alla normalità, la costruzione della pace, che coinciderà con la ricostruzione materiale, saranno possibili soltanto dopo che il territorio sarà riportato sotto il sicuro controllo di un’unica autorità di governo, con l’eliminazione sistematica di tutte le sacche di resistenza armata. Il regime degli Assad è sicuramente una dittatura, che si protrae dagli anni Settanta del Novecento. Ribellarsi ad una dittatura è giusto; ma non tutto ciò che fanno gli oppositori in armi è altrettanto giusto. I ribelli possono essere, a loro volta, non innocenti.

Ad esempio, non è innocente farsi scudo della popolazione civile. Un comandante militare che sa di avere perduto cerca di trattare, non soltanto per salvare i propri soldati, ma anche e soprattutto per evitare ulteriori inutili devastazioni ed ulteriori inutili lutti alla popolazione civile. Recentemente la città siriana di Manbij è stata liberata (dai Curdi, sostenuti dagli Stati Uniti) ed è stato consentito ad una colonna di miliziani dell’Isis di abbandonare la città e di mettersi in salvo, oltre tutto portando con sé le armi. A differenza di chi soffre di preconcetti negativi, ritengo che né il presidente russo Putin, né il Presidente siriano Bashar al-Assad, siano indifferenti a vicende come quella del piccolo Omran. Tutte le persone responsabili vorrebbero farla finita con la violenza, soprattutto quando fa versare sangue innocente. Di conseguenza, i nostri pacifisti, invece di preoccuparsi soltanto dei corridoi umanitari per portare acqua e viveri alla popolazione civile, dovrebbero comprendere che è almeno altrettanto importante favorire una trattativa affinché sia consentito ai miliziani combattenti di al-Nusra di lasciare vivi la città di Aleppo e trovare riparo altrove, con un percorso di fuga concordato e garantito. Qualora invece i predetti miliziani volessero inutilmente resistere fino all’ultimo uomo, il giudizio etico e politico su di loro non potrebbe essere diverso da quello che gli storici hanno espresso su Adolf Hitler, il quale, chiuso nel bunker della Cancelleria a Berlino, voleva che tutti i tedeschi morissero con lui, per espiare la colpa di essere stati sconfitti.

Quando finalmente sarà possibile chiudere la guerra in Siria, con l’assenso di tutti i soggetti internazionali coinvolti, è probabile che Bashar al-Assad dovrà lasciare il potere; ma è importante che si determinino le condizioni per mantenere quello che è il lascito migliore del regime. Perché qualcosa di buono ha fatto, oltre i tanti difetti. Gli al-Assad, facenti parte, dal punto di vista religioso, di una comunità di Alauiti, di osservanza sciita (ma, non coincidente con gli Sciiti duodecimani dell’Iran), hanno realizzato un regime di tolleranza religiosa che per decenni ha effettivamente garantito sia gli islamici Sunniti, che sono la stragrande maggioranza della popolazione in Siria, sia tutte le minoranze cristiane, o di altri culti. Tale tolleranza religiosa trae origine anche dalle caratteristiche laiche del partito Ba’th, manifestazione peculiare del socialismo arabo, in cui gli al-Assad si sono formati. La Siria ha una storia antichissima e lì tutte le religioni si sono confrontate ed hanno lasciato importanti tracce di sé. Azzerare tutto per imporre l’Islam rettamente inteso dei fanatici wahhabiti (originari dell’Arabia Saudita, fin dal diciottesimo secolo) o salafiti (originari del Nord Africa, dal diciannovesimo secolo), significa perdere tesori di cultura, di spiritualità, di umanità.

Altro merito del regime è quello di aver rispettato, conservato e valorizzato tutti gli importanti monumenti e resti archeologici che si trovano nel territorio siriano. Emblematica, da questo punto di vista, l’uccisione, da parte di miliziani dell’Isis, il 18 agosto 2015, dell’anziano archeologo Khaled al-Asaad, responsabile del sito archeologico di Palmira. Bisogna comprendere che numerosi oppositori del regime non chiedevano le nostre libertà (di manifestazione del pensiero, di associazione, di culto, di iniziativa economica, eccetera), ma volevano abbattere uno Stato dal loro punto di vista ateo, per imporre la legge islamica, secondo l’osservanza delle frange più radicali dei sunniti.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 17:35