Teheran e l’illusione   dell’Occidente

Il riformismo è forse tra le parole più abusate negli ultimi decenni da aver perso quasi del tutto il proprio significato. L’Enciclopedia Treccani definisce il riformismo ogni metodo d’azione politica che, ripudiando sia i sistemi rivoluzionari sia il conservatorismo, riconosce la possibilità di modificare l’ordinamento politico-sociale esistente solo attraverso l’attuazione di organiche ma graduali riforme. Sin dalla morte di Khomeyni, giugno 1989, lo spettro del riformismo si aggira in Iran e non sono pochi nel Paese e soprattutto all’estero che fomentano questa mera illusione. La domanda è chi sia in grado di riformare le leggi “divine”, dal momento che tutti i componenti del sistema teocratico iraniano tali considerano le leggi con cui governare.

Da Khamenei a Rafsanjani, da Ahmadinejad a Rouhani, da Khatami e Mussavi a tutti i componenti del regime del velayat-e faghih, si dicono fedeli alla Costituzione del regime che nei suoi princìpi di fondo soggiace al Divino. Tutta l’oligarchia del potere in Iran deve rispettare ed applicare queste leggi “divine” e nessuno accenna a una virgola di cambiamento. La prassi della gestione del potere è ancora peggio ed è volta alla giustificazione della disumana repressione della popolazione da parte del regime islamico che trae origine dalla teocrazia. Al di là della volontà e della capacità dei riformisti del regime religioso iraniano, su cui è lecito e necessario nutrire forti dubbi, la Repubblica islamica non potrà mai essere riformabile. L’ayatollah Montazeri, successore di Khomeyni destituito da questi dopo aver protestato per il genocidio dei prigionieri politici dell’estate del 1988, poco prima della sua morte, avvenuta nel dicembre 2009, dichiarava che la Repubblica islamica non è né repubblica né islamica. Come dagli torto.

Nulla è cambiato nel majlès dei mullà, nonostante il noioso chiasso della stampa occidentale sulle elezioni di febbraio 2016 del regime di Teheran, intorno alla presunta vittoria su Khamenei del duo Rafsanjani-Rouhani e la presenza nella loro lista di dinosauri ultraconservatori come Mohammad Reyshari, ex capo del famigerato ministero delle Informazioni e giudice dei tribunali rivoluzionari che ha spedito davanti al plotone di esecuzione, negli anni Ottanta, innumerevoli “controrivoluzionari”, e Ghorbanali Dorri-Najafabadi, anch’egli ex ministro delle Informazioni coinvolto nelle uccisioni di centinaia di intellettuali iraniani, negli anni Novanta, passate alla storia come “uccisioni concatenate”. Perché nella distribuzione degli incarichi nelle Commissioni del majlès islamico dei mullà la fazione vicino a Khamenei ha conquistato tutti i seggi che contano e la presidenza delle Commissioni più importanti quali: Sicurezza nazionale e Esteri, Energia, Cultura, Industria e Miniere, Istruzione e Ricerche, Finanza, Agricoltura, Sociale e Ricostruzione. Con questo i rappresentanti di Khamenei al majlès attraverso le Commissioni di politica estera e politica interna convogliano sulla retta via il governo di Rouhani qualora questi dovesse differenziarsi dalle linee rosse tracciate dal leader spirituale Ali Khamenei. Tanto è che ‘Alaoddin Brugerdi, per la quarta volta alla presidenza della Commissione Esteri, minaccia la ripresa dell’arricchimento dell’uranio. Alla lista di Rouhani, che rimane in minoranza, vanno la presidenza delle Commissioni della Pianificazione e Bilancio e Sanità. Dopo aver spacciato ancora una volta la notizia della schiacciante vittoria dei riformisti nelle elezioni di regime di Teheran, i giornalisti e gli analisti stagionali, rare eccezioni a parte, si sono ritirati in letargo fino alla successiva sarabanda e alla prossima ed ennesima vittoria dei conservatori- riformisti-pragmatici in seno alla Repubblica islamica.

Intanto Ali Khamenei, il detentore del potere del regime, ha nominato il nuovo capo di Stato Maggiore delle Forze armate, Mohammad Bagheri, che prenderà il posto di Hassan Firouz-abadi, sostituito dopo 20 anni di comando ininterrotto. Firouz-abadi ha avuto il torto di congratularsi con Khamenei per l’accordo nucleare. Bagheri è stato sinora il vicecapo di Stato Maggiore delle Forze armate, con delega speciale all’intelligence. Questa scelta va intesa anche come una preoccupante continuità viste le dimensioni delle ingerenze del regime islamico di Teheran nella Regione in particolare in Iraq e Siria. Infatti il nuovo capo di Stato Maggiore di regime ha dichiarato che “Baghdad rappresenta la linea rossa per l’Iran”, esibendo la sua propensione interventista, fuori dai confini della Repubblica Islamica. Bagheri, un veterano della guerra Iran-Iraq, è stato tra i firmatari delle lettere inviate dai Pasdaran a Khatami, durante le proteste studentesche del 1998, in cui intimava di mettere a tacere le proteste degli studenti altrimenti loro sarebbero intervenuti.

Sotto il silenzio colpevole di Khatami e il beneplacito di Rouhani, all’epoca responsabile del Consiglio di sicurezza del regime, il movimento di protesta degli studenti fu soffocato nel sangue con decine di morti e centinaia di feriti e desaparecidos. La recente nomina di Ali Bagheri a capo dello Stato Maggiore dell’Esercito palesa ancora una volta l’indole espansionistica del regime: una presenza massiccia in Iraq e Siria e l’acuirsi dello scontro con l’Arabia Saudita.

Gli illusionisti della riforma del regime del velayat-e faghih possono pur covare la speranza nel cambiamento di comportamento del regime, si riempiano pure le loro tasche, mettano sul lastrico il popolo iraniano e incendino tutto il Medio Oriente, ma non andranno da nessuna parte. Un vero cambiamento in Iran avverrà solo con il cambio di regime e l’instaurarsi della sovranità popolare attraverso libere elezioni. L’onore di questo cambiamento spetta ai coraggiosi figli dell’Iran. La Resistenza iraniana il 9 luglio a Parigi discuterà di questo e sul futuro Iran. Ci saranno decine di migliaia di esuli iraniani e centinaia di personalità politiche provenienti da ogni parte del mondo e dall’Italia.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:02