I sauditi dietro  l’11 Settembre?

Quindici dei 19 terroristi di Al Qaeda che attaccarono l’America l’11 settembre 2001, nel peggiore attentato mai commesso sul suolo americano, che provocò la morte di quasi tremila persone, venivano dall’Arabia Saudita, come saudita era il loro capo indiscusso Osama bin Laden.

Da quel giorno e per i quindici anni che sono trascorsi, sono state fatte continue illazioni su un presunto coinvolgimento di autorità saudite negli attentati, sempre smentite categoricamente da Riad e perfino da Washington, che ha invece riconosciuto il ruolo determinante della monarchia saudita nella lotta al terrorismo jihadista. Per molti esperti ed analisti, anche americani, Osama bin Laden aveva scelto apposta kamikaze sauditi per spezzare il rapporto privilegiato tra gli Stati Uniti e la casa dei Saud, per indebolirla e rovesciarla.

Ma 28 pagine di un rapporto del 2002, secretate dal presidente Bush, che sono custodite nelle casseforti blindate dell’archivio segreto del Congresso degli Stati Uniti rivelerebbero verità inedite e getterebbero di nuovo pesanti accuse sulla Monarchia saudita. Dopo una lunghissima querelle durata mesi, il Presidente degli Stati Uniti potrebbe a breve decidere la declassificazione delle 28 pagine che il suo predecessore alla Casa Bianca decise di tenere segrete per ragioni di sicurezza nazionale, per proteggere i metodi e le fonti di intelligence degli Stati Uniti. Il rapporto è stato stilato nel 2002 dalla Commissione d’inchiesta parlamentare congiunta sull’attività dei servizi segreti dopo gli attacchi dell’11 settembre.

L’ex vice presidente di quella commissione ed ex senatore della Florida, Bob Graham, si è rivolto alla Casa Bianca perché declassifichi e renda pubbliche al più presto le 28 pagine secretate. Alcune informazioni contenute in quelle 28 pagine sono già trapelate; diverse telefonate sarebbero intercorse, appena prima dell’11 settembre, tra l’ambasciata saudita e uno degli addestratori dei dirottatori. La famiglia del principe Bandar bin Sultan, all’epoca ambasciatore saudita a Washington e amico dei Bush, avrebbe trasferito 130mila dollari sul conto corrente di un altro uomo che avrebbe istruito gli attentatori. E dubbi sono stati espressi anche sul ruolo avuto dal principe Turki bin Faisal, allora capo dell’intelligence saudita. Molti membri del Congresso, compresa la leader democratica Nancy Pelosi, hanno sottoscritto una petizione per la declassificazione e la pubblicazione delle 28 pagine. Il dossier è ormai da mesi alla Casa Bianca. Il presidente Barack Obama sarebbe favorevole alla pubblicazione ma starebbe aspettando la relazione del generale James Clapper, direttore dell’Intelligence, che deve garantire che le informazioni, una volta rilasciate, non compromettano la sicurezza nazionale. Dietro il ritardo nella decisione presidenziale però ci sarebbe la preoccupazione delle possibile ricadute negative nelle relazioni di Washington con Riad, mai ad un livello così basso negli ultimi anni. Se ne è avuta prova anche durante la visita di Obama in Arabia Saudita in aprile; ad attendere l’Air Force One all’aeroporto di Riad non c’era il re Salman ma il governatore della capitale saudita, Faisel bin Bandar. Uno sgarbo protocollare voluto che riassume lo stato dei rapporti fra gli Stati Uniti e la Monarchia del Golfo. E il ministro degli Esteri, Adel Jubair, ha annunciato che se il suo paese dovesse essere accusato per gli attentati dell’11 settembre, potrebbe vendere tutti i titoli del debito americano e gli asset di cui dispone, per un valore totale di 750 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti inoltre importano dall’Arabia Saudita un milione di barili di petrolio al giorno.

Si capisce quindi perché il direttore della Cia, John Brennan, ha affermato nei giorni scorsi in un’intervista televisiva che anche se il rapporto dovesse essere pubblicato, l’opinione pubblica non dovrebbe giungere a conclusioni circa il coinvolgimento del Regno saudita negli attentati dell’11 settembre. Tutte le indagini effettuate, ha continuato Brennan, non hanno evidenziato alcuna prova che il governo saudita, come istituzione, o che diplomatici sauditi, singolarmente, abbiano sostenuto gli attacchi. Realpolitik.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:01