Aylan, simbolo di una emergenza umanitaria

venerdì 4 settembre 2015


Nelle ultime settimane di fine estate e in queste giornate di ritorno all’opera dopo la pausa vacanziera, le pagine di cronaca sono state monopolizzate dall’emergenza migratoria, che in Italia è un problema particolarmente scottante. Migliaia di migranti ogni giorno salgono – spesso a caro prezzo – sui barconi, stipati come sardine prendono la via del mare, con il rischio di non farcela, ma con la speranza di raggiungere la “terra promessa”. L’opinione pubblica si è presto spaccata di fronte a questo tema caldo quanto delicato.

Da una parte si ritiene giusto accogliere chi è fuggito alla fame, alla guerra, a situazioni di difficoltà e incertezza. Dall’altro è altresì chiaro che l’accoglienza non regolamentata non possa portare a nulla di buono. E così si è assistito anche al riemergere di forme di razzismo, a chi dice “spariamo ai barconi”, a chi ha paura che sia colpa del “diverso, del nero, dello straniero” se è senza lavoro o conduce una vita miserabile. E’ chiaro che l’Italia in questa partita da sola non possa farcela, e sarà proprio su questo importante tema che si giocherà il futuro dell’Europa, di quel sogno di Europa unita di cui molto si parla ma che stenta a concretizzarsi nella pratica. Ci sono cose però che azzerano ogni discussione e provocano soltanto dolore e un senso di imbarazzante impotenza.

L’immagine – comparsa nelle scorse ore e che ha presto fatto il giro del mondo, stimolando commenti e condivisioni su tutti i social network – di Aylan, il bambino siriano riverso senza vita su una spiaggia turca, morto affogato nel tentativo di sfuggire all’orrore della guerra che sta distruggendo il suo paese, portano soltanto al silenzio e alla riflessione. La potenza di questa immagine è più forte di mille parole. E Aylan è diventato l’icona di una tragedia che non risparmia nessuno. Di un massacro che è sotto gli occhi di tutti e che non possiamo fingere di non vedere volgendo lo sguardo altrove. Quella che abbiamo davanti è un’emergenza umanitaria. Trovare soluzioni è tutt’altro che facile, ma appare sempre più evidente che una risposta possa emergere soltanto facendo fronte comune, in una strategia di sistema. Questa immagine dovrebbe rappresentare la denuncia dello scandalo, dello stato di emergenza in atto e non l’ennesima icona di orrore che riempie pagine di cronaca nera.


di Elena D’Alessandri