Obama è venuto a vendere il gas

L’andamento dell’incontro romano di Obama con il nostro Premier Renzi ci ha fatto sorgere un dubbio: “Col pretesto della visita al Colosseo non è che l’americano sia venuto a vendere gas?”. È così che è andata? Proviamo ad allineare alcuni dati.

Il gas russo ha invaso il mercato europeo coprendo buona parte della domanda energetica. Ciò ha consentito di contenere i prezzi d’acquisto. La Russia, oltre al completamento del “North Stream”, ha cantierato la costruzione di un altro gasdotto per il sud del continente, nella prospettiva di aumentare i volumi della fornitura. Il progetto “South Stream” coinvolge nel partenariato anche l’italiana Eni, a cui, dopo aver realizzato il tratto “Blue Stream” che passa sotto il Mar Nero, è stata commissionata la posa della condotta sottomarina che dalla Turchia giungerà alla terraferma.

La Libia, con 48 miliardi di barili di petrolio potenzialmente ancora estraibili dal suo sottosuolo, rappresenta uno dei maggiori “serbatoi” africani. Ad oggi sono circa trenta le imprese multinazionali che hanno ottenuto licenze dalle autorità di Tripoli per avviare l’estrazione. Ma l’attuale governo sta tentando di riscrivere le regole per disciplinare le concessioni petrolifere. L’amministrazione Obama, facendo valere il suo ruolo di “liberatore”, intende partecipare attivamente alla stesura della legge per collegarla alle proprie strategie. Al momento la produzione viaggia alla media di un milione di barili al giorno, che è un valore molto basso rispetto alle potenzialità del mercato. Gli israeliani nel 2010 scoprono, al largo della costa, “Leviathan”, il più grande giacimento di gas naturale di tutto il Mediterraneo. Una volta avviatone lo sfruttamento, Israele potrebbe divenire una nuova potenza energetica della regione mediorientale, con ottime possibilità di penetrazione nel mercato europeo.

Negli Stati Uniti si produce Shale gas. Si tratta di gas estratto dalla roccia di scisto, di cui il sottosuolo americano abbonda. Le compagnie che hanno messo a punto il sistema d’estrazione sono volate nelle quotazioni in borsa. Tuttavia, più di un esperto ha messo in dubbio la bontà dell’investimento nel senso che, alla lunga, i costi d’estrazione potrebbero rivelarsi eccessivi rispetto all’offerta corrente. Se così fosse, centinaia di migliaia di risparmiatori americani che hanno scommesso sulla redditività dell’operazione, rischierebbero di trovarsi di nuovo con un pugno di mosche tra le mani, come accadde con lo scoppio della bolla immobiliare. Quindi si tratterebbe, secondo fonti finanziarie accreditate, di un investimento ad alto rischio a meno che…; a meno che, per “miracolo”, non avvenga qualcosa sul mercato europeo tale da far lievitare considerevolmente i prezzi del prodotto disponibile.

Ora, si sa che i “miracoli” fatti dagli umani hanno bisogno di una spintarella perché accadano. E Obama questa spintarella ha sentito che sarebbe stato giusto darla per il bene dei suoi concittadini. Sui target individuati, Washington ha stabilito una strategia di intervento che avesse come esito finale la riapertura del mercato europeo all’offerta petrolifera americana. La prima mossa è stata la soluzione del problema libico con l’eliminazione fisica di Al Qadhdhafi. Costui era diventato un player ingombrante nella partita del petrolio. Con la messinscena della “primavera araba” nel 2011, Al Qadhdhafi: Kaputt! La seconda mossa ha riguardato un cambio di rapporti con l’alleato israeliano. Obama ha imposto al governo di Gerusalemme la via del negoziato con i palestinesi, nella consapevolezza che il fallimento della trattativa, molto probabile a causa dell’inconciliabilità delle posizioni delle parti in causa, precipiterebbe Israele in una condizione di isolamento internazionale. Ciò costringerà, gioco-forza, il gabinetto Netanyahu a chiedere aiuto al principale alleato d’oltremare. A quel punto Washington potrebbe nagoziare con il partner israeliano una ridefinizione della sua strategia di espansione commerciale sul mercato energetico. Difficilmente Gerusalemme potrà sottrarsi a una richiesta del genere, soprattutto se sull’altro piatto della bilancia Obama vi carica tutto l’apparato di difesa antimissilistica dello scudo spaziale, che stanno mettendo a punto negli Stati Uniti.

L’ultimo ostacolo è costituito dalla presenza del player russo. Appare, dunque, sospetta la circostanza dello scoppio della crisi ucraina. Con il pretesto di sanzionare i comportamenti dispotici dei dirigenti del Cremlino, la Casa Bianca preme perché la Ue stabilisca l’embargo all’importazione di prodotti petroliferi dalla Russia. Nel nome della libertà, della democrazia e del diritto violato, i partner europei potrebbero essere costretti a seguire, obtorto collo, l’alleato americano. A quel punto l’offerta energetica collasserebbe, rischiando la crisi della domanda sul mercato interno continentale. Con il calo delle forniture da Est, il prezzo del gas ricomincerebbe a salire, fino “all’arrivo della cavalleria”. Il presidente Obama, nel corso del summit de L’Aja, avrebbe già rassicurato gli alleati sulla disponibilità a fornire gas americano. La soluzione della fonte alternativa sarebbe comunque praticabile anche nel caso di un allentamento della tensione tra Ucraina e Russia. L’influenza di Washington sui nuovi assetti politici a Kiev potrebbe produrre come risultato la possibilità di mettere mano al rubinetto che regola il flusso di gas dalla Russia all’Europa. L’Ucraina infatti percepisce delle royalties per i diritti di transito del prodotto attaverso il suo territorio. Il gas allora tornerebbe a costare molto ai clienti in occidente, indipendentemente dalla volontà di Mosca.

Ora la domanda da porsi è: “Gli europei ci cascheranno?”. Finora, grazie alla fermezza della Merkel, hanno resistito, nella speranza che Putin in persona blocchi la mossa di Obama “aprendo” al negoziato sulla crisi ucraina. Tuttavia la situazione potrebbe già essere compromessa. Scaroni, l’Ad di Eni, sempre molto ben informato, si è dichiarato pessimista. Ha detto chiaramente che, per il completamento del gasdotto “South Stream”, vede un futuro fosco. Egli teme che Bruxelles, su impulso di Washington, non lo faccia ultimare negando le necessarie autorizzazioni. Per gli interessi italiani sarebbe un colpo durissimo, anche alla luce della prossima rinegoziazione, con Gazprom, dei contratti di fornitura di gas a lungo termine, conclusi con la clausola del “take or pay”. Le demenziali affermazioni di Renzi su un ipotetico senso morale della battaglia per l’Ucraina, che sopravanzerebbe ogni valutazione di carattere economico, fa temere il peggio per il prosieguo dei rapporti con il partner russo.

Inizialmente avevamo pensato che la ragione principale della venuta a Roma di Obama fosse legata alla visita al Santo Padre e alla passeggiata al Colosseo. Il fatto, dunque, che dovesse incontrare Renzi, sarebbe stato un mero gesto di cortesia nei confronti del padrone di casa. Restiamo del parere che la principale preoccupazione di Obama non fosse quella di spendersi per convincere il suo fan italiano. Non ve ne sarebbe stato bisogno, visto che i nostri governanti, quando vogliono, riescono a essere più realisti del re. Tuttavia, facendo due conti non possiamo negare che sia fondato il sospetto dell’esistenza di un fine recondito nelle intenzioni di Obama, ben nascosto tra le pieghe dei gesti formali e nelle espressioni di stucchevole cortesia. Se è così, per noi saranno guai.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49