na “Lista Maroni” per la
Lombardia, con o senza il
PdL. Questo è il progetto che in-
tende contrapporsi alla sinistra nel-
la regione del Nord che fu culla del
Berlusconismo, oltre che il tram-
polino di lancio per la Lega Nord.
La porta al PdL, se proprio non è
del tutto sigillata, resta socchiusa:
«
Non c’è nessuna trattativa in cor-
so con Formigoni e nemmeno con
Albertini (che appare sempre più
come il candidato di Formigoni) –
spiega Roberto Maroni - Abbiamo
solo una settimana per chiudere la
coalizione. Abbiamo totale sfiducia
nel governo Monti e quindi è im-
possibile allearci con un partito che
pensa di sostenerlo. Se il PdL deci-
derà di appoggiare la mia candida-
tura, sarò il primo ad esserne con-
tento. Sarebbe una forza in più per
vincere e non consegnare la Lom-
bardia alla sinistra. Ma mi pare che
il PdL, adesso, assomigli un po’ alla
figura pirandelliana dell’uno-nes-
suno-centomila». E chi comporrà
la coalizione con l’ex ministro del-
l’Interno? La risposta è seduta di
fianco a Maroni, nella conferenza
tenuta al Circolo della Stampa di
Milano: Giulio Tremonti. È l’ex mi-
nistro dell’economia, con il suo li-
bro bianco, titolato semplicemente
Manifesto”, e la sua nuova lista
Lavoro e Libertà, a costituire, as-
sieme alla Lega, l’anima ideale della
nuova creatura politica. «Cosa ab-
biamo in comune (io e Maroni,
ndr)? Una notevole sfiducia nei
confronti del governo Monti e, in-
vece, una grande fiducia in un’Eu-
ropa che non sia un comitato d’af-
fari, come è adesso. Il Manifesto è
il frutto di un lavoro comune. Ab-
biamo integrato visioni diverse. Il
fatto che Roberto lo firmi è un im-
pegno politico importante per en-
trambi ». Sul meridione, Tremonti
propone un progetto apparente-
U
mente ostico per un leghista: la
Cassa del Mezzogiorno. L’ex mini-
stro premette che l’Italia è un con-
tribuente netto in Europa: «I soldi
sono nostri – spiega - vanno all’Eu-
ropa, ce li pelano e ce ne restitui-
scono solo un pezzetto. Lo spreco
non è tanto sulla spesa, quanto sul-
la perdita di questi fondi. Noi vor-
remmo che vadano ad un’unica
centrale, una Cassa del Mezzogior-
no, da cui vengano amministrati e
investiti. Come succedeva nel do-
poguerra, l’unico periodo in cui il
Sud cresceva ad una velocità accet-
tabile. Se non si fa così non c’è pro-
spettiva». Cosa ne pensa Maroni?
«
Se serve per sistemare le cose…
certamente sì. Purché si mantenga
al Nord il 75% delle tasse pagate
dai cittadini». Il programma, che
si può leggere sul “Manifesto” per-
mette di conciliare i due principi?
Sì, soprattutto nella visione comu-
ne dell’Europa, che si vuole “un
plebiscito quotidiano dei popoli
che la compongono, una scelta li-
bera e sempre rinnovata: non una
imposizione dall’alto operata da
parte delle burocrazie europee o di
apolidi poteri economici e finan-
ziari (…) Le politiche che meglio
corrispondono ai bisogni dei citta-
dini saranno infatti sempre più ba-
sate sulle aree regionali e macro-
regionali. In particolare, un
elemento essenziale dell’assetto co-
stituzionale dell’Unione Europea
dovrà essere rappresentato dai sog-
getti istituzionali che sono più vi-
cini ai cittadini: le regioni, i muni-
cipi». Come dimenticare che fu
Tremonti il primo uomo di gover-
no a proporre una riforma di fe-
deralismo fiscale nel 1994? L’alle-
anza con la Lega, anche se sono
passati così tanti anni e lo scenario
è drasticamente cambiato, appare
assolutamente naturale.
STEFANO MAGNI
di
GIROLAMO MELIS
ensavamo che Fini fosse
animato da ideali generosi
e, per questo, lo abbiamo aiutato,
già dall’inizio degli anni ’90, ad
aprire il dialogo con il mondo
ebraico e con Israele. Ho e abbia-
mo il dovere di ricordare. Nutro
anche l’illusione che una scintilla
incendi la sua anima e lo riporti
nella trincea degli “uguali”. Il cuo-
re della destra doveva fare i conti
con il ruolo del fascismo nel geno-
cidio del popolo ebraico. Noi lo
sapevamo bene. Era un dovere
morale, era un dovere verso la ve-
rità e la giustizia (…)».
E ancora: «(…) Ma c’è un’al-
tra persona alla quale Gianfranco
Fini deve l’abraccio di Israele e
del mondo ebraico. Questa per-
sona si chiama Aaron Mairov,
eroe di guerra nella sua patria e
amico prezioso dell’Italia. Questi
uomini sono stati dimenticati,
emarginati ed espropriati della lo-
ro opera, impresa fondamen-tale
per la carriera personale di Fini e
per avvicinare i giovani di destra
al mondo ebraico sradicando le
forti spinte antisemite. Ebbene,
sono convinto che solo quando
saranno sanati i debiti morali che
personaggi come Fini hanno con-
tratto nei confronti di coloro che
lealmente e disinteres-satamente
hanno creduto in loro, potrà ini-
ziare la rinascita spirituale e po-
litica della destra e dell’Italia e,
paradossal-mente, anche di gran
parte della sinistra (…)».
Non a caso scegliamo questo
brano del penultimo capitolo de
Il Manifesto Umano
di Loris Fac-
chinetti. Si intitola
Eredità.
E pre-
cede l’ultimo, che si intitola
Do-
mani.
Questo
Libro-Uomo
spalanca per la prima volta lo “ie-
ri” che non si è mai voluto cono-
«
P
scere, che nessuno ha voluto dire.
E senza il quale il presente non
sembra nascere da altro che da al-
cuni devastanti decenni di medio-
cre politica. E il domani sembre-
rebbe un precipitare di eventi
insensati. Un libro che racconta
quella storia sconosciuta e nasco-
sta che ha riempito di eroismi si-
lenziosi e di creatività le genera-
zioni coinvolte nella sanguinosa
e cinica “guerra fredda”.
Loris Facchinetti c’era. C’era
per aver fondato il sogno di Euro-
pa Civiltà in quegli anni Sessanta
in cui ogni sogno sembrava affi-
darsi allo scontro tra incubi. E
c’era quando dall’Europa vennero
a cercarlo, a sceglierlo, gli uomini
sfuggiti alla tragedia dei gulag, gli
uomini della Russia cristiana, gli
uomini dell’Nts. E Loris si arruolò
nella guerra per la libertà contro
il terrore sovietico. E fu subito al-
dilà della cortina di ferro. Oltre
vent’anni – una vita – per diven-
tare il “pericolo numero uno” in
territorio sovietico. Per portare in
salvo, per creare alleanze, per spa-
rare Samizdat, per partecipare alla
nascita della “bomba Polonia”, per
continuare in Afghanistan… per
soccombere al nemico di casa Ita-
lia: al Pci finanziato-costretto dal
Pcus e dagli “apparati” al servizio
del Kgb, finalmente riuscito a chiu-
derlo in carcere, a torturarlo, a ri-
durlo in fin di vita, per poi, dopo
anni, doverlo assolvere, in primo
grado su richiesta dello stesso pub-
blico ministero, per non aver com-
messo il fatto.
Ma questo Libro-Uomo testi-
monia che un uomo benedetto dai
deboli non può soccombere alla
ferocia dei tiranni. E
Il Manifesto
Umano
continua il racconto della
rinascita, della speranza coltivata
e poi urlata con la caduta del più
mostruoso muro della storia. Il
muro simbolo di morte e prigionia.
Il Muro di Berlino. E l’immane la-
voro, nella fede e nella ragione, per
costruire un mondo migliore: sì,
anche a partire dall’infaticabile la-
voro di saldatura, nell’abbraccio,
delle forze di pace di Israele e di
Palestina; dalla re-invenzione di
una solidarietà totale verso le per-
sone in difficoltà, i marginali, gli
esclusi; dall’invenzione di iniziative
solidariste in Africa, in India, nel
mondo che non conta; e, impresa
più difficile d’ogni energia, d’ogni
potenza sacra, il lavoro quotidiano
per creare in Italia una giovane
nuova classe dirigente, per costrui-
re il futuro delle generazioni e un
domani” degno di essere vissuto.
Il Manifesto Umano
,
infatti,
chiude con il capitolo
Domani
,
cioè oggi. Un appello agli uomini
liberi, oltre le ideologie e gli egoi-
smi. È un libro-chiamata. Chi lo
legge, diventa speranza.
II
POLITICA
II
segue dalla prima
Ingroia e le elezioni
(...)
Il pm palermitano si deve accontentare
del già ampio privilegio di poter contare
sull’ampia notorietà acquisita grazie alla
propria attività di funzionario dello stato.
Il ché, oggettivamente, non è un privilegio
di poco conto. Ma deve avere il coraggio
di giocare la partita delle proprie opinioni
senza lo scudo protettivo assicurato dalla
funzione di garante e custode della legalità.
Come ogni altro cittadino che è convinto
di avere qualcosa da dire al paese e decide
di sottoporlo al vaglio del corpo elettorale.
Certo, per Ingoia non deve essere facile ri-
nunciare alla missione internazionale, alla
propria carriera di magistrato fondata su
scatti automatici e sostenuta dall’alta visi-
bilità mediatica assicurata dalle proprie in-
chieste.
Ma in democrazia funziona così! O, meglio,
dovrebbe funzionare così!
ARTURO DIACONALE
Sallusti e i colleghi
(...)
Sfida rischiosa, certamente, ma certo
non priva di un forte significato e di un si-
curo, anche se, ahimè, circoscritto, ambito
di risonanza e di consenso. Ma Sallusti ha
sbagliato tutto. Ha puntato il dito contro
il reato di diffamazione e contro la pena
detentiva comminata dalla legge per tale
reato.
Ancora una volta lo ripetiamo: questo si-
gnifica buttare il bambino con l’acqua spor-
ca. Perché se ci sono ingiuste ed esorbitanti
condanne alla reclusione per diffamazione
col mezzo della stampa, ce ne sono sicura-
mente anche di giuste e di necessarie, di
fronte all’uso della stampa scientemente
malizioso e distruttivo dell’altrui personalità
che, in molti casi, può verificarsi e si veri-
fica. E ve ne sono di condanne a troppo te-
nui pene pecunarie.
Sallusti ha ritenuto che per una sua batta-
glia contro la reclusione per il reato di dif-
famazione o, addirittura, per la depenaliz-
zazione avrebbe ottenuto la mobilitazione
della corporazione dei suoi colleghi.
Certo, si tratta di una corporazione potente
e non priva di solidarietà e spirito di corpo.
E sussiste un interesse di essa ad attenuare
il regime sanzionatorio della diffamazione,
specie per i riflessi sul risarcimento dei dan-
ni.
Ma una corporazione, una lobby potente,
non scende mai in campo per battaglie
frontali, anche se non ha nessuna remora
per il getto del bambino (e, forse, per così
conservare l’acqua sporca). Il risultato è
stato disastroso. Sallusti ha dovuto, in verità
un po’ ingenuamente, lamentare che nessun
direttore di giornale è andato a porsi al suo
fianco quando aspettava i Carabinieri che
lo andassero a prelevare al “Giornale”. Fi-
guriamoci!
Ha ottenuto sì, qualche solidarietà. Magari
quella di Capezzone e di La Russa, ma si
ha l’impressione, e qualcosa di più dell’im-
pressione, che il “bel gesto” di offrirsi fie-
ramente all’arresto (e pure ad una nuova
imputazione di “evasione”) sia stato spre-
cato. Peccato.
Mi verrebbe voglia di mandare a Sallusti
recluso a domicilio, il mio libro “Il Partito
dei Magistrati”, che ora avrebbe il tempo
di leggere senza la preoccupazione di scrol-
larsi di dosso la petulanza dell’autore. Ma
ciò avrebbe un sapore sottilmente crudele,
che, data l’attuale condizione del mio in-
terlocutore, che merita ogni attenzione e
rispetto, non intendo proprio provocare.
Chi sa, però, che alle riflessioni contenute
in quel libro non pervenga da solo. Del re-
sto esso è dedicato «a tutti quanti non leg-
geranno questo libro, con l’augurio che non
abbiano a pentirsi di non averlo letto».
MAURO MELLINI
Il libro-uomo di Facchinetti
Non solo lo leggi,ma lo vivi
Tremonti eMaroni
gli alleati lombardi
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L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 6 DICEMBRE 2012
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