II
CULTURA
II
Nel nome del Figlio”, Sgarbi spiega la Natività
di
GIUSEPPE TALARICO
interesse che un libro può ed
è capace di suscitare nell’ani-
mo di un lettore può essere dovu-
to a diverse ragioni estetiche e cul-
turali. L’ultimo libro di Vittorio
Sgarbi,
Nel nome Del Figlio
-
edi-
zioni Bompiani - appartiene di pie-
no diritto alla migliore tradizione
della saggistica italiana, dedicata
alla storia dell’arte. Infatti in que-
sto ampio e dotto volume Sgarbi,
con la competenza dello studioso
che conosce a fondo la materia,
propone al lettore un percorso cri-
tico assai coinvolgente, con il qua-
le e grazie al quale è possibile
comprendere come l’Epifania, che
si è avuta con l’avvento di Cristo
nella storia umana, abbia offerto
motivi di ispirazione ai grandi ar-
tisti italiani ed europei.
L’aspetto che colpisce il lettore,
abituato a frequentare la saggistica
di cultura, è la grande chiarezza
con la quale nel libro i temi critici
sono posti in relazione dallo stu-
dioso con quelli dichiaratamente
filosofici e teologici.
Nella prima parte viene chiari-
to cosa abbia significato per secoli
la pittura bizantina durante l’epo-
ca medievale, nella quale veniva
riproposta la medesima variazione
sullo stesso soggetto raffigurato,
la Madonna con il bambino sul
fondo oro. Il fondo oro di questi
dipinti poneva la Madonna e il
bambino in una dimensione spiri-
tuale, fuori dal tempo e dallo spa-
zio, al confine con la dimensione
eterna propria del mondo divino.
Secondo il giudizio di Roberto
Longhi, il grande critico d’arte ci-
tato in più parti nel libro, il pas-
saggio dal mondo antico alla sen-
sibilità moderna sul piano del
linguaggio iconografico avviene
con Giotto, si pensi al Giudizio
Universale della cappella degli
Scrovegni a Padova. Infatti, secon-
do Sgarbi, Giotto nella sua pittura,
dopo le grandi creazioni artistiche
L’
di Cimabue e Duccio da Buonin-
segna, segue una poetica basata
sul realismo in azione, per cui ven-
gono rappresentate le emozioni e
i sentimenti generati dalle azioni
umane.
Nella prima parte del volume,
con grande intelligenza e metico-
losa acribia critica, Sgarbi indivi-
dua due linee generali, che aiutano
a capire come la figura di Cristo,
avvolta da una aura spirituale e
divina, sia stata rappresentata lun-
go i secoli: il Cristo sofferente e il
Cristo trionfatore. Ad esempio Pie-
tro Cavallini nella chiesa di Santa
Cecilia in Trastevere, a Roma, of-
fre una visione e immagine mo-
derna del Cristo, che dischiude e
apre una nuova stagione, inaugu-
rando un nuovo stile nella storia
della pittura. In particolare è de-
gna di attenzione e merita di esse-
re ricordata la Madonna con il
Bambino di Pietro Giovanni Am-
brosi, opera nella quale vi è una
netta divisione tra la parte supe-
riore dipinta con il fondo oro, e la
parte inferiore nella quale l’intar-
sio del pavimento evoca lo spazio
e il tempo, mettendo in relazione,
grazie a una felice sintesi prospet-
tica, il mondo terreno con quello
divino ed eterno.
I grandi pittori che hanno sa-
puto effigiare la figura del Cristo
sofferente, che tuttavia nei tratti
del volto conserva la memoria del-
la imminente resurrezione, sono
stati, tra i tanti, il Beato Angelico
e Antonello da Messina, il cui Ecce
Uomo, con il viso solcato da lacri-
me rese con un realismo commo-
vente, simboleggia la irrimediabile
e inevitabile sofferenza umana.
Seguendo l’evoluzione che lun-
go i secoli ha contrassegnato il
modo con cui i grandi artisti han-
no rappresentato l’Epifania cri-
stiana, Sgarbi si sofferma in un
saggio notevole sulla opera di Ma-
saccio, pittore che seppe enucleare
la sensibilità rinascimentale con
una bravura e profondità inarri-
vabile.
Nei suoi affreschi compare per
la prima volta la quotidianità,
mentre le figure umane spesso
vengono ritratte in momenti di
evidente afflizione e dolore perso-
nale, poiché non sono confortate
e sfiorate dalla grazia divina. La
Trinità di Masaccio, che si trova
nella chiesa di Santa Maria No-
vella a Firenze, è una opera d’arte
di grande profondità nella quale
il mistero teologico della Trinità
viene raffigurato in modo impres-
sionante, tanto da colpire la im-
maginazione di chi si soffermi di-
nanzi a questo capolavoro. Sulla
parte inferiore dell’affresco di Ma-
saccio vi è un sarcofago nel quale
è deposto lo scheletro di un uomo
morto, mentre nella parte superio-
re compare l’immagine di Cristo
sormontata da quella del Padre,
accanto al quale è simboleggiato
lo Spirito Santo. In questo dipinto
straordinario viene mostrato come
dalla morte terrena sia possibile
approdare alla vita eterna grazia
al miracolo della resurrezione. Nel
libro viene dato un grande spazio
alla figura e all’opera di Piero del-
la Francesca, autore della celeber-
rima Resurrezione di Cristo, che
venne considerata la più bella pit-
tura del mondo dallo scrittore in-
glese Aldous Huxley. In essa tro-
viamo felicemente raffigurato un
Cristo che trionfa sulla morte e,
mentre le guardie del sepolcro si
sono addormentate, inalbera uno
stendardo e sembra avere il domi-
nio sulla natura e sul mondo ter-
reno. Il Cristo morto di Mantegna
rappresentato in modo da consen-
tire la visione prospettica del ca-
davere adagiato sulla tavola e
compianto dalla Madonna e da
San Giovanni Battista, i cui volti
segnati dal dolore che pervade le
loro anime, mostra un Cristo
umano, in quanto soggetto alla
morte come tutti gli uomini. No-
tevole è il Trittico di San Zeno,
opera di Masaccio di grande com-
plessità e importanza. Leonardo
da Vinci è un pittore geniale che
ha saputo dare una forma definita
e precisa alle sua idee, le quali tro-
varono una felice e compiuta
espressione nelle sue opere pitto-
riche. Per capire la genialità di
Leonardo e la sua poetica è neces-
sario riflettere sul rapporto tra la
natura e la storia.
La Vergine delle Rocce, che si
trova al Louvre di Parigi, mostra
in primo piano la Madonna cir-
condata dalle rocce che evocano
la forza primordiale e la violenza
ingovernabile della natura. Nel-
l’Ultima Cena, che si trova nel re-
fettorio di Santa Maria delle Gra-
zie a Milano, Leonardo è riuscito
a rappresentare Cristo facendo
emergere in questo suo grande af-
fresco la sua interiorità. Infatti il
Cristo dell’Ultima Cena è stato
considerato dagli studiosi come
l’Uomo che pensa e che suscita le
reazioni psicologiche degli apostoli
che siedono alla sua tavola.
Nel saggio in cui viene spiegata
la grande poetica di Michelangelo
Buonarroti, Sgarbi ricorda che Mi-
chelangelo appartiene alla scuola
toscana del disegno ed è il capo-
stipite della pittura manieristica
insieme a Raffaello.
Infatti, nella storia della pittura
italiana vi è stata una netta divi-
sione tra la scuola toscana del di-
segno e quella veneta del colore.
Diversamente da Leonardo, il Cri-
sto effigiato nel Giudizio Univer-
sale di Michelangelo nella cappella
Sistina è visto come la figura divi-
na e maestosa che trionfa sul
mondo terreno e indica in modo
imperioso agli uomini quale dire-
zione seguire, perché trionfi la ve-
rità e l’ordine nel mondo umano.
Nel Cristo Morto di Carpac-
cio, uno dei grandi dipinti della
storia dell’arte che si trova a Ber-
lino, miracolosamente viene rac-
contata - con il linguaggio pitto-
rico e iconografico - la storia delle
tre grandi religioni monoteiste.
Cristo, in questo dipinto, giace
morto in primo piano. Giobbe sie-
de, cogitabondo, sotto un albero,
e prefigura la resurrezione di Cri-
sto dopo le sue sofferenze dovute
alla passione. Nel dipinto di Car-
paccio viene evocata la rovina del
mondo antico e pagano, mentre vi
è un preciso riferimento sia alla
religione ebraica sia a quella mu-
sulmana. Notevoli nel libro sono
i saggi dedicati a Tintoretto e a
Caravaggio. Per Sgarbi, con Tie-
polo si conclude la grande storia
dell’arte italiana. Un libro memo-
rabile e scritto con una eleganza
e una perfezione stilistica rare nel
nostro tempo.
segue dalla prima
Stone e Stalin
(...)
Compreso il Patto Ribbentrop-Molotov.
«
Stalin accettò una realtà di fatto – si sente
nel commento – Il suo Paese stava affron-
tando, da solo, il suo nemico più mortale.
Doveva prendere tempo e temeva un’alle-
anza tedesco-polacca (sic!)... Provocò uno
shock in Occidente la firma del patto di non
aggressione con Hitler, spartendo con lui
l’Europa orientale. La principale preoccu-
pazione di Stalin era la sicurezza del suo
Paese». Questa versione dei fatti venne rac-
contata a generazioni di cittadini sovietici
(
e italiani) fino al 1989, quando emerse, fi-
nalmente, dagli archivi qualcosa di più det-
tagliato sul Patto Ribbentrop-Molotov.
Quando, cioè, si seppe dei protocolli segreti
di spartizione, del carattere di lungo termine
(
e non solo un “espediente per prendere
tempo”) del Patto, quando si seppe che, al-
meno fino alla fine del 1940, Stalin prendeva
ancora in considerazione l’idea di combat-
tere la guerra contro l’Impero Britannico,
in Persia e in India, al fianco dei tedeschi.
Non è un caso che “l’uomo d’acciaio” si
fece cogliere completamente di sorpresa
dall’attacco tedesco all’Unione Sovietica.
Inutile dire che, dalla narrativa di Stone,
scompaiono le persecuzioni delle popola-
zioni non russe, gli orrori nei Paesi occupati
dall’Armata Rossa, i milioni e milioni di
morti nelle deportazioni e nei gulag.
Se questa è la premessa, nelle puntate suc-
cessive non ci si può attendere nulla di di-
verso da una serie di condanne alla politica
estera statunitense. E così è: tutta la storia
della Guerra Fredda, secondo Oliver Stone,
altro non è che una prolungata aggressione
americana alla Grande Patria Socialista. Nel-
l’ambito della Guerra Fredda, la “portata
principale” offerta da Stone è ovviamente
il Vietnam. Dove non fa altro che ripetere i
soliti luoghi comuni, già smentiti, tipici della
sinistra pacifista: fu una guerra combattuta
dagli afro-americani (falso: erano il 12%
delle truppe), da soldati di leva (quasi del
tutto falso: 2/3 erano volontari), terminata
a causa di una sollevazione pacifista del-
l’opinione pubblica (falso: fino all’ultimo
anno di conflitto, il sostegno allo sforzo bel-
lico era condiviso da più del 60% degli ame-
ricani). Ma al di là della mitologia pacifista
tutta americana, anche il conflitto vietnamita
viene presentato come un’arbitraria azione
imperialista statunitense. Stone arriva a dire
che John Fitzgerald Kennedy volesse il ritiro.
Quando fu proprio lui ad aumentare la pre-
senza americana da 600 consiglieri a 14mila
soldati. In questo modo, si fa apparire Joh-
nson (manipolato dai generale) come il re-
sponsabile di un conflitto “non necessario”.
Mentre, nella realtà storica, sia Kennedy che
Johnson, si ritrovarono costretti ad interve-
nire militarmente pur di non abbandonare
un alleato asiatico nelle fauci di un nemico
comunista ancora fortissimo.
Nelle puntate successive al Vietnam, il do-
cumentario scivola dalla storia alla fanta-
storia. Il complottismo, per la creazione
del “nuovo ordine capitalista” fa il suo in-
gresso, sotto l’insegna della “Trilaterale”.
L’agonia dell’Unione Sovietica viene vista
come il prodotto delle cospirazioni statu-
nitensi, non come un collasso di un siste-
ma che, obiettivamente, non stava in piedi.
Il sostegno dato ai mujaheddin (e non ai
Talebani, che non esistevano ancora) nella
guerra in Afghanistan, viene visto come
la premessa dell’11 settembre. E da qui,
buona notte: le Torri Gemelle indovina
chi le ha buttate giù?
Questa è la storia riscritta, riveduta e cor-
retta ai tempi dell’amministrazione Obama.
È ancora “sovversiva”, ma sta diventando
mainstream. Quando gli americani finiranno
di uscire dalla loro “nebbia” e odieranno
loro stessi, il mondo sarà pronto per una
nuova era di pace. Sotto l’insegna di Stalin.
STEFANO MAGNI
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DOMENICA 3 FEBBRAIO 2013
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