Il giornalismo è una bella cosa e la sua libertà è indispensabile a un assetto democratico. Tuttavia, oggi – a differenza che nel passato – a volte esso viene svilito in modo poco percepibile dagli spettatori con grave danno inferto proprio a loro. Indico qui soltanto due esempi di cattivo giornalismo televisivo. Primo esempio. Siamo su La7 nel pomeriggio di pochi giorni fa nel corso di Tagadà, trasmissione di approfondimento politico, le uniche che questa emittente propone al pubblico quotidianamente una dopo l’altra, oltre a qualche film e a qualche documentario, quasi sempre illustrativo delle malefatte del nazismo, del fascismo, della Dc. A un certo punto, la brava conduttrice Tiziana Panella manda in onda una registrazione di un’intervista che un giornalista francese ha effettuato giorni prima a un papavero della nomenklatura russa, mentre passeggiano per un ampio viale moscovita. Il clima è disteso, quasi amichevole. Il giornalista chiede se il politico russo conosca Parigi e questi, in un ottimo francese, risponde di esserne innamorato e di essere molto dispiaciuto di non poter tornare in tempi brevi a rivedere il Louvre. A questo punto – mi si passi la pedestre espressione, come il cavolo a merenda – il giornalista pone una domanda del tutto assurda: “Lei sa quanto tempo impiegherebbe un missile a raggiungere il Louvre partendo da Mosca?”.
E dico assurda per due motivi: per un verso, perché, per saperlo, bisognava essere un militare addetto a lanciare i missili o un ingegnere esperto del settore, mentre il politico russo non era né l’una cosa e neppure l’altra; per altro verso, perché la domanda veniva “sparata” davvero come un missile, senza alcuna connessione con il discorso che si era tenuto in precedenza. Da qui, ovviamente, l’imbarazzo del politico che, com’è naturale, non aveva la minima idea del tempo occorrente e che perciò ha cominciato a indicare, perfino comicamente, numeri a casaccio. Due minuti. No: tre minuti. No: forse un minuto e mezzo. Insomma, un mare di sciocchezze. Da qui, il discorso è però scivolato sui missili, cioè esattamente dove il giornalista voleva che andasse a parare. Bastava perciò sollecitare l’orgoglio patriottico del russo, per ottenere le risposte desiderate: che la Russia non ha paura di nessuno, che l’arma atomica potrebbe diventare una opzione e via di questo passo. Fine dell’intervista. Chiosa immediata della Panella: “Avete sentito? La Russia ha voluto rispondere per le rime a Emmanuel Macron che pochi giorni fa parlava di soldati europei da inviare al fronte, minacciando la ritorsione dell’uso dell’atomica”. In realtà, come è ovvio, nulla di tutto questo. Il politico russo non aveva la minima intenzione né di parlare dei missili e neppure di rimbrottare Macron. È stato invece astutamente condotto dal giornalista francese sul terreno dei missili, attraverso una domanda inaspettata e del tutto obliqua rispetto al discorso in atto: poi il giornalista ha avuto gioco facile nel fargli dire ciò che voleva dicesse. E la Panella? O non ha capito ed è amaro. O ha capito e ha scelto di dire al pubblico ciò che non era, facendolo passare per vero ed è amarissimo. In entrambi i casi, agli spettatori è stato ammannito il falso di una non notizia.
Secondo esempio. Porta a porta, poche sere fa. Monsignor Sergio Pagano, responsabile degli archivi vaticani, finalmente aperti dopo secoli, risponde alle domande di un incuriosito Bruno Vespa. Fatalmente, il discorso piega sul caso Galileo Galilei. Come è ovvio, un mare di precisazioni di carattere storiografico fa da preludio alla conclusione inaspettata che è quella che segue: Vespa e Pagano sorridono entrambi di compatimento verso il cardinale Roberto Bellarmino, il quale, poveretto, chiedeva a Galileo di presentare la teoria copernicana dell’eliocentrismo non come una verità assoluta e immutabile, ma come una mera ipotesi scientifica. Entrambi mostrano insomma di considerare Bellarmino un vero sprovveduto che vuol parlare di cose che neppure è in grado di capire e invece Galileo come una vittima della Chiesa, oscurantista e nemica della vera conoscenza. Insomma, il politicamente corretto allo stato puro. Peccato che nessuno dei due abbia mostrato di sapere davvero come stanno le cose sul caso Galileo. Innanzitutto va detto che ben prima di Niccolò Copernico, già Aristarco di Samo (terzo secolo avanti Cristo) aveva ipotizzato il sistema eliocentrico e che, dopo Copernico (che era un abate), Galileo lo fece proprio, ma senza mai fornirne prove inconfutabili, che sarebbero state fornite soltanto decenni dopo da Isaac Newton. Il tanto vituperato Bellarmino, infatti, altro non chiedeva che il sistema copernicano fosse oggettivamente dimostrato, al di là delle congetture di carattere strettamente matematico, e che, in mancanza, fosse presentato non come verità assoluta, ma come ipotesi scientifica.
Lo prova, fra l’altro, la celebre lettera che il cardinale indirizzò a Padre Paolo Antonio Foscarini, provinciale dei carmelitani e – come allora usava dire – “galileista” convinto, ove egli scrive che se la teoria eliocentrica fosse stata dimostrata senza alcun dubbio, allora sarebbe stato necessario addirittura rivedere l’interpretazione delle scritture e non certo le scritture medesime, laddove in un celebre passo di Giosuè (10, 12-13) si grida “fermati o Sole!”. Il che dimostra che ad assumere un atteggiamento corretto dal punto di vista della metodologia della scienza, paradossalmente, non era Galileo, ma proprio Bellarmino, che perciò non era affatto uno sprovveduto, nonostante i sorrisi ironici di Vespa e di Pagano. Per questo motivo, Karl Popper e Thomas Kuhn, vale a dire due fra i maggiori epistemologi contemporanei, condividono in modo convinto la posizione di Bellarmino e non quella di Galileo, il quale era tanto appassionato alle sacre scritture da pretendere fossero “aggiustate” per secondare la teoria eliocentrica, pur priva di dimostrazione oggettiva, cosa che ovviamente Bellarmino non poteva ammettere. D’altro canto, Luigi Firpo, storico non certo credente, e Walter Brandmüller, cardinale ed eminente storico, hanno collocato proprio Bellarmino nel novero degli osservanti della correttezza del metodo scientifico: in particolare il secondo, in uno studio degli anni Novanta, ha messo davvero la parola fine alla questione rendendo giustizia al tanto bistrattato Bellarmino (che era peraltro molto competente in astronomia oltre che in teologia e che poi fu perfino canonizzato). Ne viene che le ironie di Vespa e di Pagano – i quali evidentemente ignorano tutto questo – non hanno fatto altro che trasmettere anche in questo caso agli ignari spettatori informazioni non vere, perché forse figlie del “Galileo” messo in scena decenni or sono da Bertolt Brecht, il quale pur impersonato da un ineguagliabile Tino Buazzelli, non lascia di sprofondare nella solita “vulgata” ideologica tanto fasulla quanto facile da propinare, sempre nel nome del politicamente corretto. È questo giornalismo che meritano i telespettatori?
Aggiornato il 25 marzo 2024 alle ore 14:51