Sì, è tutto un gran parlare di crisi della democrazia, quella propriamente detta, all’Occidentale, assediata dalle democrature, dalle democrazie illiberali, dai populismi, dalle dittature, eccetera. Nel 1991, la fine del bolscevismo, cioè del comunismo sovietico, pareva che avesse decretato pure la fine della Storia, addirittura. Sennonché, neppure la storia dei sistemi politici si ferma. Però, per quanto la “sovrastruttura formale” della democrazia (le istituzioni politiche) possa sembrare in crisi, la sua “struttura materiale” (economia privatistica) ha stravinto dappertutto. È diffusa nel mondo intero, persino nella Cina che si dichiara orgogliosamente comunista senz’essere collettivista: un sorprendente ossimoro impensabile da una mente sana.
La democrazia, cioè il sistema che serve a stabilire chi debba governare, è, per nome e per significato, totalmente diversa dal liberalismo, un sistema secondo il quale, governi il popolo o un autocrate, il loro potere non è assoluto ma limitato per salvaguardare la libertà dei cittadini, essa sì assoluta, incoercibile, superiore. La democrazia è un metodo; il liberalismo, la sostanza. Tant’è che la democrazia deve essere qualificata: democrazia liberale o democrazia illiberale, democrazia diretta o democrazia rappresentativa, democrazia parlamentare o democrazia popolare, come i sovietici chiamavano i regimi a loro sottomessi, rendendo così un omaggio nominale al sistema che avversavano.
Il sistema politico liberale è il risultato dell’azione umana ma non di un disegno umano. Detto altrimenti, è il precipitato dell’evoluzione di piccoli gruppi in società complesse, storicamente integrate sulla base delle relazioni interpersonali di cooperazione e scambio. Nessuno sarebbe stato in grado d’inventare il sistema politico liberale ovvero il “governo rappresentativo”, com’è appropriato chiamarlo. Trattasi di un sistema compiuto ma non chiuso, anzi aperto e flessibile in ragione della sua intrinseca essenza che lo porta continuamente ad esplorare e verificare tutte le possibilità di sviluppo che vi si generano naturalmente. Il “governo rappresentativo” è fatto di libertà personale, imperio del diritto, poteri divisi e limitati, parlamento rappresentativo, proprietà privata, economia di concorrenza, responsabilità individuale, umanesimo vitale, e di tutte le altre cose che ne derivano necessariamente. Il plinto storico, atavico, su cui all’origine sorse casualmente, nell’inconsapevolezza degli attori, il sistema politico della libertà, fu l’endiadi proprietà-diritto: dalla prima sgorgò il secondo.
Al contrario, i sistemi politici illiberali sono basati sulla costrizione che riduce, talvolta fino ad annullare, la complessità precipua della vita umana e della libertà naturale. Fiorite a migliaia di ogni specie nel corso dei secoli, monarchie, tirannidi, oligarchie, dittature, hanno tuttavia sempre lasciato ai sudditi una qualche autonomia personale e facoltà economiche. Sono creature politiche spesso a misura del creatore, le quali furono portate alla luce storica degli ordinamenti statuali da un atto di forza che cambiò il precedente assetto politico oppure lo conservò per successione dinastica. L’estremo opposto del liberalismo e del “governo rappresentativo”, cioè l’illiberalismo assoluto, è stato raggiunto (finora!) dai regimi totalitari del ventesimo secolo: comunismo, nazismo, fascismo. I tre regimi sono accomunati dall’aver sovvertito e sostituito la “sovrastruttura formale” del “governo rappresentativo”. Il comunismo, bolscevico e no, cancellò addirittura la “struttura materiale” della società collettivizzando la proprietà privata. Il nazismo e il fascismo la conservarono ma assoggettandola alla direzione dello Stato dittatoriale. In ogni modo, i tre regimi furono costruiti a tavolino dalle rispettive élites, con i risultati catastrofici che l’umanità ha dovuto constatare.
La crisi della democrazia liberale dipende dagli attacchi, volontari e involontari, tentati e compiuti, alla “struttura materiale” o alla “sovrastruttura formale” del “governo rappresentativo”. Gli attacchi consistono nell’erodere gli elementi costitutivi dell’una e dell’altra, talvolta con l’intenzione malevola di danneggiarli se non addirittura scardinarli, talaltra con la volontà benintenzionata di migliorarli. Buona o cattiva, l’intenzione importa nulla mentre l’azione è tutto se incoerente con la preservazione dell’assetto costitutivo del “governo rappresentativo”. A causa delle ineluttabili conseguenze inintenzionali delle azioni umane, nessuna intenzione politica riesce a conseguire tutti i risultati conformi e scongiurare tutti i difformi. La “struttura materiale”, compendiosamente definita capitalismo, una sineddoche dal significato meno ampio della realtà, altro non è che l’ordine economico risultante dalla inestricabile compresenza della proprietà privata, dell’autonomia privata (l’altro nome della libertà di contratto), dell’intrapresa privata (l’altro nome del liberismo economico). La “sovrastruttura formale”, originatasi in connessione temporale e causale con la “struttura materiale”, per quanto diverse appaiono in dettaglio certe sue istituzioni, non è stata congegnata ad arte da una mente superiore ma è venuta affermandosi perché preservava la libertà dell’individuo, coessenziale al funzionamento sia del sistema politico sia del sistema economico. Il potere, da assoluto, concentrato, autocratico, divenne limitato, diviso, rappresentativo: un sistema politico che le prove, gli errori, i pericoli, gli attentati alla libertà individuale e politica condussero ad adottare per salvaguardia un complesso ordinamento di “pesi e contrappesi” (impropria traduzione di “checks and balances”), cioè di “controlli e bilanciamenti” che rappresentano capisaldi del “governo rappresentativo”.
Immutare l’ordine materiale e formale della democrazia liberale con misure generali incoerenti e sconnesse, discordanti e contraddittorie, difformi dai principi ad essa inerenti, ne produce la crisi che biasimano in buona fede i sostenitori consapevoli o esecrano in mala fede i critici interessati. All’atto pratico, la democrazia liberale comporta pertanto anche il dovere d’impartire una permanente educazione a praticarla. Se i dettami e i comportamenti sono illiberali, la democrazia difficilmente prospera. Piuttosto sopravvive degradandosi e deperendo, in attesa del becchino. Eppure, al postutto, contro i detrattori e i tiepidi, non meno che contro i nemici e i sognatori, resta l’immortale monito pronunciato nel 1947 da Winston Churchill alla Camera dei comuni: “Nessuno pretende che la democrazia sia perfetta o assoluta. In effetti è stato detto che la democrazia è la peggiore forma di governo eccettuate tutte quelle altre che sono state provate di tempo in tempo”. Aveva in mente l’antica democrazia britannica ed alludeva alle altre che dopo, ispirandosi a quella, potevano a ragione chiamarsi liberali.
Aggiornato il 22 dicembre 2023 alle ore 13:25