Diritti civili: i fuochi fatui della sinistra

Il Governo e la maggioranza di centrodestra continuano a farsi dettare l’agenda dall’opposizione, in particolare dal Partito Democratico del nuovo segretario, Elly Schlein. A seguire i media, sembra che l’unico pressante problema degli italiani sia la trascrizione nei registri civili dei figli di coppie omogenitoriali. Vi sembra possibile? Una minoranza che tiene il Paese in scacco su una questione che riguarda una quota marginale della comunità nazionale, nel mentre la guerra alle porte di casa continua a toglierci il fiato e la crisi economica non cala d’intensità. Ma se i progressisti erano così bravi perché non l’hanno risolta loro la questione delle adozioni da parte delle coppie gay avendo avuto, la sinistra, dieci anni di Governo e di potere per farlo? Com’è che solo oggi smadonnano in diretta televisiva per un sedicente diritto negato? E prima? Paolo Pietrangeli, quello di “Contessa”, oggi canterebbe “compagni (non più) dai campi e (non più) dalle officine/ prendete la falce e impugnate il martello/scendete giù in piazza e picchiate con quello/scendete giù in piazza e affossate il sistema”.

Ma, cari compagni e compagne, vi rendete conto di quanto siate patetici. E ridicoli. Non vi si fila più nessuno, grazie a Dio. Qui c’è gente che non ha da mangiare, perché ha perso il lavoro, ha perso l’azienda, non ha più clienti al suo banco e non ha più la casa perché la banca gliela ha portata via. E la politica non trova niente di meglio da fare che impancarsi su una vicenda – non se la prendano gli amici gay e lesbiche – che non è propriamente l’emergenza nazionale. La diciamo dritta: ne abbiamo le scatole piene di arcobaleni miracolosi che dovrebbero squarciare la plumbea coltre di nuvole che ci soffoca. Se si vuole tornare a rivedere il sole, la luna e le altre stelle c’è solo una strada da percorrere e si chiama crescita economica. Questa ha un fedele compagno di viaggio che di nome fa lavoro. Si torni a produrre, a creare ricchezza per sé e per la comunità nazionale e, vedrete, che tornerà il sereno nelle famiglie e nella società. E col sereno – e la pancia piena – ci si potrà lasciarsi andare ai virtuosismi mentali sui nuovi formati di famiglia, in linea con le mode del momento.

Un antico adagio partenopeo recita: “Dicette ‘o si’ prevete â sie’ badessa: senza denare nun se cantano messe!”. Tradotto: “Il signor prete disse alla signora badessa: non si celebrano messe cantate che non vengano pagate”. È cinico, ma pennella alla perfezione la realtà. Gli italiani, senza soldi, fanno fatica a cantare. E il Governo dovrebbe concentrarsi sulla condizione della maggioranza degli italiani piuttosto che farsi portare a spasso dall’opposizione. Tra le molte travi che potrebbero cascarci sulla testa c’è solo l’imbarazzo della scelta. Non si possono fare graduatorie di pericolosità – sono tutte ad alto rischio – ma in qualche pronostico ci si può lanciare. Vi interessa sapere quale, a nostro avviso, sarà il cataclisma, nel prossimo futuro, che ci toccherà affrontare? Presto accontentati: l’emergenza idrica. Non prendiamola sottogamba. La mancanza d’acqua, che di anno in anno peggiora, sta mandando in fumo secoli di produzioni alimentari che sono l’eccellenza dell’Italia. Due numeri, per intenderci. Secondo Coldiretti, che analizza dati forniti dal Cnr, “il deficit idrico è stato (nel 2022) del 40 per cento con pesanti effetti sull’ambiente, sull’agricoltura ma anche sul turismo della neve e sullo smog nelle città… Gli effetti sono evidenti nel 2023 con i grandi laghi che hanno ora percentuali di riempimento che vanno dal 17 per cento di quello di Como al 24 per cento del Maggiore fino al 34 per cento del lago di Garda mentre il livello idrometrico del fiume Po al Ponte della Becca è sceso a -2,9 metri e si registra anche lo scarso potenziale idrico stoccato sotto forma di neve nell’arco alpino ed appenninico”.

Se tale è il ritmo della progressione siccitosa, bisognerà sbrigarsi a fare qualcosa di radicale, se necessario di rivoluzionario, per risolvere il problema alla radice. Se si vuole evitare il razionamento delle forniture idriche, non bastano le raccomandazioni degli amministratori locali rivolte ai cittadini sul fare un uso moderato del bene acqua. L’opinione pubblica, distratta dalle sparate pirotecniche della sinistra, non ha piena contezza del dramma che pende sulle teste di tutti. Già, perché si può fare a meno di molte cose e vivere ugualmente un’esistenza accettabile. Ma dell’acqua non ci si può privare. Senza, si crepa. La filiera agroalimentare e il comparto della produzione di energia da fonte idroelettrica non devono temere il domani, perché sono già oggi in ginocchio. Il Governo ha calcolato che per aggredire efficacemente il problema occorrerebbero circa 7,8 miliardi di euro. Che, in teoria, ci sarebbero. Tra risorse previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e altri fondi Ue e nazionali dedicati, si riesce a mettere insieme il denaro per intervenire.

Cosa si aspetta a passare alla pratica? Per qualcuno è la burocrazia a impedirlo. E allora, al diavolo la burocrazia! A nessuno – anche i burocrati sono esseri umani – piacerà ritrovarsi prematuramente al camposanto, anche se si trattasse di un cimitero green, ecosostenibile. Primum, vivere! Il Governo ha studiato un piano operativo mirato a molteplici obiettivi. Catturare l’acqua piovana – attualmente se ne utilizza solo il 10 per cento – creando nuovi invasi, bacini di raccolta e laghetti artificiali; utilizzare le acque depurate per le coltivazioni attraverso impianti irrigui ammodernati ed efficientati in base alle nuove tecniche di risparmio; risanare la rete di distribuzione idrica nazionale. Il Governo pensa alla nomina di un commissario straordinario all’emergenza siccità. Lo si nomini, purché funzioni. Tuttavia, oltre alle pezze a colori per otturare le falle del sistema si punti lo sguardo per osservare il futuro. C’è molto da fare pensando a una rivoluzione copernicana nelle fonti d’approvigionamento. Finora, abbiamo attinto la risorsa idrica dal sottosuolo, dai fiumi, dai laghi e dalle cime delle montagne innevate. D’ora in avanti è possibile farlo dal mare. Al riguardo, vi sono i dissalatori che fanno miracoli.

C’è il sindaco di Genova, Marco Bucci, che ha avuto un’idea geniale. Speriamo gliela lascino realizzare. Il primo cittadino del capoluogo ligure ha pensato di utilizzare la parte dismessa dell’oleodotto che, dalla darsena del porto di Genova, per decenni, ha trasferito petrolio nel cuore della Pianura padana, per dare acqua a tutto il Settentrione d’Italia. Occorre che si costruisca un grande impianto di desalinizzazione in grado di portare circa 100 milioni di metri cubi d’acqua. L’area per l’installazione dell’impianto è già stata individuata. È l’insediamento industriale dell’ex Ilva di Cornigliano. Intanto, a Taranto qualcosa di più concreto c’è già. La società Acquedotto Pugliese ha avviato la gara d’appalto per la costruzione di un dissalatore dalla potenzialità di 55.400 metri cubi al giorno di acqua. A pieno regime, l’impianto coprirà il fabbisogno idrico di 385mila persone. Oltre che per i salentini, sarà un sollievo per le popolazioni campane e lucane apprendere che dopo secoli non dovranno fare più – o almeno dovranno farlo meno da fornitori d’acqua alla Puglia.

Nei primi sei mesi di vita, il Governo Meloni si è mosso bene sul fronte del reperimento di forniture di gas. Faccia lo stesso, e alla medesima velocità di realizzazione, con l’oro blu. Questa è la vera sfida che gli italiani si aspettano venga affrontata dalla politica con avvedutezza e lungimiranza. Poi, di coppie di babbi e di mamme vogliosi di genitorialità vi sarà tempo e modo per discuterne. E vi sarà anche tempo per respingere al mittente, una volta per tutte, le molte stranezze gender. D’altro canto, per la destra italiana vorrà pur significare qualcosa la difesa dei fondamenti archetipici della tradizione occidentale di matrice mediterranea?

Aggiornato il 23 marzo 2023 alle ore 10:17