Gli antichi giochi olimpici si chiamano così perché si svolsero ad Olimpia, in Grecia, nell’Elide (Peloponneso) e il centro fu la sede di un santuario. Cominciarono nel 776 avanti Cristo con una gara di corsa. Poi vennero aggiunte altre discipline – pugilato, lotta e pentathlon – e s’ampliò la partecipazione in ambito panellenico. Sorse così la tregua olimpica, ovvero la sosta d’armi per tutto il periodo delle gare tra le città-Stato in guerra. Questi agoni cessarono nel 393 dell’era cristiana, per decisione dell’Imperatore dei romani, Teodosio I, quel baciapile influenzato da Ambrogio di Milano. Fu quello il Medioevo, cioè un’età senza tregue, quando il Cristianesimo tese ad assicurare la pace interiore nelle anime e negli spiriti, ma non degli straziati corpi fisici. Gli atleti antichi scandalizzarono alcuni cristiani, perché si esibirono nudi e sani.

Con l’età liberale emerse qualcosa di non ben compreso relativamente all’incarnazione del Cristo. L’antico mens sana in corpore sano è la realtà esteriore dell’interiore spiritus et anima sanæ faciunt corpore sano. I tanti fanatici della Santa Sindone non rilevavano a sufficienza come quel corpo, oltre a portare evidenti segni di martirio, fosse vigoroso, proporzionato, virile, “bello”. In un periodo nel quale l’Impero Britannico fu al vertice della civiltà, qualunque competizione agonistica assunse il nome di sport. Del resto, in Inghilterra, si svolsero gare chiamate Olimpiadi già nel XVII secolo.

In Francia si tennero le Olimpiadi della Repubblica nel 1796, 1797 e 1798. Alla fine del diciannovesimo secolo, il barone Pierre de Coubertin si ripropose d’istituire i Giochi olimpici tra gli atleti degli Stati del consesso internazionale. Le prime Olimpiadi moderne si svolsero in Grecia, ad Atene: correva l’anno 1896. Nell’occasione, dovevano gareggiare gli atleti dilettanti. Il barone fu molto utopista. Figuratevi, ritenne il calcio lo sport dilettantistico per eccellenza. Per praticarlo bastava una palla e un campo. Non necessitava di nulla di dispendioso, come accadeva per esempio per l’equitazione, visto che per praticarla occorreva possedere cavalli e selle. Nel calcio no: una palla, un campo, due porte facilmente collocabili e linee tracciabili con poco. Nessuna spesa. Se il suo spirito è consapevole nell’essenza in una dimensione dalla quale la materia è osservabile, e se vedesse l’attuale calciomercato, sarebbe in un vero inferno.

Anche altri agoni ammessi alle Olimpiadi si sono parecchio allontanati dal dilettantismo. Resta quel residuo di tregua olimpica, costituito dal gareggiare di atleti d’ogni nazione e color di pelle, qualunque sia il sistema d’alleanze nella quale militano gli Stati di cui sono cittadini, anche se in guerra tra loro. È vero, le Olimpiadi non furono organizzate durante le due Guerre mondiali del Novecento. Quella di Berlino del 1936, anche se i nazisti l’allestirono per propaganda, vide tra i vincitori alcuni atleti non in armonia con il suprematismo razziale. L’Unione sovietica, per propugnare il comunismo, dal 1928 al 1956 organizzò delle proprie Spartachiadi. Già dal 1952, però, partecipò ai Giochi olimpici.

Adesso, il Governo ucraino minaccia di non far partecipare alle prossime Olimpiadi di Parigi (2024) i propri atleti, nel caso in cui dovessero concorrere, in qualunque forma, con i russi. La Federazione Russa, è vero, ha ancora in corso un tentativo d’invasione dell’Ucraina, cominciato circa un anno fa. L’accettazione di quel residuo di pace olimpica, costituito dalla presenza ai Giochi di atleti di nazioni in guerra tra loro, è un principio fondamentale di civiltà liberale negli agoni ginnici. Gli ucraini hanno il diritto-dovere di resistere agli invasori e di ricacciarli. Noi, come Italia, Unione europea ed Alleanza atlantica, dobbiamo aiutarli con armi e altre risorse. Ma quando minacciano di venir meno a certe prerogative, dobbiamo opporci. Gli eroi sono sportivi, non tifosi.

Aggiornato il 30 gennaio 2023 alle ore 11:51