Il sospetto è il becchino della verità

giovedì 3 novembre 2022


Sono state molte le polemiche e le discussioni sull’intenzione del Governo di elevare il tetto del contante ammesso per i pagamenti fino a diecimila euro, anche se poi pare che l’Esecutivo intenda stabilire la soglia di cinquemila o di tremila euro. Ora, non so ovviamente come andrà a finire, ma la cosa che più colpisce sta nel fatto che tutti discorrono di ciò che potrebbe tranquillamente omettersi, mentre tacciono il cuore del problema, la sola cosa che meriterebbe davvero di essere pensata e messa al centro dell’attenzione. Tutti, infatti, discutono sulla soglia del contante, facendo riferimento alla necessità di arginare il fenomeno dell’evasione fiscale o del riciclaggio, compresa Giorgia Meloni nella veste di nuovo presidente del Consiglio: si fronteggiano le più diverse opinioni, favorevoli o sfavorevoli, ma immancabilmente tutte argomentano a partire da quelle censure in tema di argine agli illeciti che potrebbero commettersi.

Ciò che invece viene taciuto – o perché nessuno vi pone mente o perché se ne sottovaluta la portata – è un altro aspetto che invece mi pare fondamentale. Bisogna infatti considerare come l’uso del contante – in misura piccola o grande non importa – rappresenti uno dei rari momenti in cui funziona la barriera di riservatezza che perfino lo Stato, se si tratta di uno Stato di diritto, deve rispettare in capo a ogni suo cittadino. Se io pago venti euro in contanti a un negoziante per comprare una cravatta, solo io e lui sappiamo perché ho versato quella somma e in cambio di che cosa: nessun’altro, tanto meno lo Stato, che non deve affatto saperne nulla. Si badi: che il negoziante abbia ricevuto un pagamento in contanti non vuol dire per nulla che costui non debba pagare la relativa imposta. Significa solo che sono state preservate la libertà e la riservatezza di entrambi anche nei confronti dello Stato, il quale non prevarica sulle persone che lo costituiscono. Peraltro, se lo Stato diffida a tal segno dei cittadini da vietare i pagamenti in contanti o da ammetterli soltanto sotto delle soglie irrisorie, vuol dire che tutti indistintamente – nessuno escluso – vengono sospettati di un qualche illecito: da qui la compressione, fino alla loro scomparsa, dei diritti di libertà e di riservatezza.

Ma uno Stato che di tutti diffida e di tutti sospetta è l’esatto contrario dello Stato liberale di diritto come, proprio a proposito dei pagamenti in contanti, ha mostrato Vittorio Mathieu vari anni fa in una riflessione di rara profondità che prende titolo, appunto, di “Filosofia del denaro”. Il sospetto non è infatti “l’anticamera della verità” – come molti anni fa improvvidamente lo definì il gesuita Padre Ennio Pintacuda, prima di approdare nel centrodestra berlusconiano – ma ne è il becchino: mentre chi dubita sospende il giudizio sui suoi simili, chi sospetta ne formula uno negativo in via pregiudiziale, senza ragioni oggettive, rendendo perciò impossibile ogni forma di autentico legame interpersonale e sociale. In sostanza, se ciascuno di noi sospettasse di tutti gli altri, non sarebbe più praticabile una convivenza civile come la conosciamo: il sospetto è l’esatto contrario del principio di diritto, che invece pretende il rispetto della presunzione di innocenza. Ecco allora il senso reale della salvaguardia dei pagamenti in contanti: ribadire che lo Stato di diritto non sospetta di nessuno in via pregiudiziale e che, perciò, consente che i suoi cittadini possano godere di una sfera di riservatezza perimetrata anche nei confronti dello Sato medesimo, almeno fino a che sorgano seri indizi della commissione di eventuali reati.

E mentre so con certezza che le cose stanno così, so parimenti bene che nessuno dei politici di maggioranza e d’opposizione sembra manifestare la minima sensibilità per i profili qui menzionati: non ci sono indizi al riguardo. Ma se i politici non sono sensibili alle prerogative dello Stato di diritto, a cosa mai lo saranno?


di Vincenzo Vitale