I nodi stanno venendo al pettine

Tira una brutta aria per l’Italia governata dai “migliori”. Con la decisione adottata dalla Banca centrale europea di interrompere l’acquisto sul mercato secondario dei titoli di Stato dei Paesi membri, insieme all’inevitabile aumento dei tassi d’interesse, si ripropone ancora una volta il tema mai risolto della sostenibilità del nostro colossale debito pubblico. Debito pubblico il quale, complice anche la crisi innescata dall’insensato attacco russo all’Ucraina, viaggia velocemente verso il 170 per cento del Pil (si consideri che prima della pandemia di Covid-19 eravamo quasi 40 punti sotto questo stratosferico livello di indebitamento). D’altro canto, falchi o non falchi, con una inflazione che di questo passo rischiava di raggiungere le due cifre, Christine Lagarde e il resto del board della Bce si sono trovati letteralmente con le spalle al muro, adottando l’unica strategia in grado di riportare la stessa inflazione, ovvero la tassa occulta che colpisce soprattutto i più poveri, entro il limite canonico del 2 per cento.

Inevitabilmente, data la storica debolezza dell’Italia, i nostri tassi d’interesse sono schizzati in alto, con lo spread che ha superato i 230 punti. E tutto questo non è dovuto a uno scherzo del destino cinico e baro, né tanto meno al solito, presunto complotto che, non si bene per quale motivo, in simili frangenti prenderebbe sempre di mira il Belpaese. Il problema, per dirla in estrema sintesi, è per l’appunto legato alla sostenibilità di un debito pubblico che attualmente è di circa 2.700 miliardi di euro. Sostenibilità che, in soldoni, rappresenta la capacità del sistema pubblico di continuare a pagare in un tempo indefinito gli interessi ai creditori. Tuttavia, fino a quando la Bce acquistava copiosamente i nostri titoli – stagione lunghissima inaugurata dal “whatever it takes” di Mario Draghi quando era al posto della signora Lagarde – i tassi restavano molto bassi e il ministero dell’Economia e delle Finanze non aveva alcun problema a piazzare sul mercato le nuove emissioni dei medesimi titoli.

Ma ora, restando inevitabilmente senza una rete di protezione, gli analisti economico- finanziari che operano sul mercato globale non possono ignorare i nostri storici problemi: eccesso di spesa pubblica, in gran parte sbilanciata dal lato delle uscite correnti; conseguente eccesso di tassazione; sostanziale immobilismo sul piano di quelle necessarie riforme finalizzate ad ammodernare il Paese nel suo complesso. E mentre buona parte del Governo e dell’informazione mainstream continua a occuparsi di una pandemia sostanzialmente scomparsa, il virus dell’inaffidabilità italiana rischia di provocare al Paese una vera e propria febbre da cavallo.

Aggiornato il 14 giugno 2022 alle ore 10:08