Tutti laboriosi con il sudore degli altri

L’economia italiana è in difficoltà, perché non si trova manodopera sul mercato. Il settore manifatturiero e quello turistico sono in crisi, perché c’è una completa assenza di giovani disposti a nobilitarsi con il lavoro. I giovani italiani sono una accozzaglia di scansafatiche, più avvezzi a stare in pantofole e percepire il reddito di cittadinanza piuttosto che immolarsi per la causa e contribuire al progresso della Nazione. Questo è il tenore dei commenti che si odono di questi tempi. E sembra quasi che facciano il paio con le doglianze di Elsa Fornero che con la storia dei bamboccioni inaugurò la fiera delle banalità.

Potremmo inerpicarci in dissertazioni economiche citando le più recenti statistiche sulla dinamica degli stipendi dal 1990 al 2020 e usare queste cifre per dimostrare che il nostro Paese è all’ultimo posto. Potremmo dissertare del cuneo fiscale sul lavoro, della pressione fiscale, della crisi energetica, delle infrastrutture o di vattelappesca. Potremmo farlo ma non lo faremo, preferendo affrontare la questione in maniera terra-terra.

Il reddito di cittadinanza è una boiata incredibile, sia in termini squisitamente economici, sia in termini politici e sociali. Questo vorremmo fosse chiaro da subito. Ma è anche – e residualmente – una formidabile arma in mano ai percettori, per sputtanare tutti quei soloni che fanno il predicozzo sull’etica del lavoro fingendo di scandalizzarsi per l’apatia dei giovani, mentre stazionano da decenni su una poltrona comoda e ben remunerata. È proprio vero che sono tutti laboriosi col sudore degli altri.

A tutti quei fighetti bravi a fare gli americani o i liberisti della domenica, basterebbe chiedere una cosa molto semplice: cosa offre in alternativa questa “Repubblica fondata sul lavoro” a tutti coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza? Le risposte saranno certamente variegate, ma ruoteranno più o meno intorno alle stesse variabili: un posto da lavapiatti a 800 euro al mese per dodici ore giornaliere di lavoro spalmate su sei giorni a settimana, il cameriere con un discreto fuoribusta, lo sguattero a nero, l’operaio con il minimo salariale arrampicato su un ponteggio con le misure di sicurezza che scivolano tra le varie ed eventuali. E allora domandiamoci se sia meno etico percepire il reddito di cittadinanza o fare queste proposte indecenti e squallide. A pensarci bene, non sappiamo davvero cosa rispondere.

Il lavoro non è bello di per sé (altrimenti si chiamerebbe hobby). È bello quando, in pochi e fortunati casi, esso coincide con la più grande passione di chi lo svolge, se in alternativa è ben remunerato o se almeno offre una speranza, una prospettiva di progresso sociale ed economico. Lavorare tanto per lavorare non è che sia proprio una goduria. Il valore del lavoro è tale, se esso coincide con il progresso di chi lo svolge (e non ci sembra che l’Italia sia la terra delle possibilità o dei self-made men). In alternativa, scattano le leggi del mercato: se mi conviene vengo, altrimenti ti attacchi. E se non ho la possibilità di dirti che ti attacchi, allora è un ricatto.

Senza scomodare i padri dell’economia moderna, la domanda e l’offerta si incontreranno solo se il più debole non ha alternativa. Per il resto le chiacchiere dei moralisti stanno a zero.

Aggiornato il 01 giugno 2022 alle ore 09:53