Se Salvini dice “no” all’invio delle armi

Una volta, come si usava dire a tal proposito, l’esclusiva del “no” alle armi poteva (anzi doveva) competere alla sola categoria dei pacifisti. Anche se, al suo interno, si potevano scorgere le cosiddette sottocategorie dei pacifisti a senso unico e dei pacifisti riflessivi, dedicati comunque alle mai tramontate, ma sostanzialmente innocue, marce della pace.

Adesso, al di là dello storico percorso Perugia-Assisi, resta in prima fila di un cammino sia pure formale ma di peso non indifferente il capo della Lega, Matteo Salvini, che rispetto al problema dell’invio di armi all’Ucraina (che c’è comunque stato qualche mese fa) esprime di nuovo il suo parere contrario. La situazione sembra così ritornare in cerchio al suo punto di partenza. Il fatto è che rinvii di questa entità, a livello internazionale e con una guerra in corso, non sono mai casuali, intendendo con ciò sottolineare l’aspetto squisitamente politico di un gesto che, come ha detto in un non occasionale inciso Silvio Berlusconi, pone il nostro Paese in uno stato di guerra alla stregua di un alleato delle due potenze avverse.

Finora il premier Mario Draghi ha tenuto ferma e dritta la barra nella consapevolezza che per l’Italia la scelta non poteva non essere quella da lui adottata, nonostante i cosiddetti “mugugni” sia pentastellati per bocca di Giuseppe Conte sia della Lega cui ha dato voce Matteo Salvini. Da diverse parti, del Capitano si parla ora come di un pacifista da non sottovalutare. E non, appunto, per una qualsiasi marcia cui desideri porsi al comando, ma per una scelta che non poteva essere diversa. Matteo Salvini è stato ed è amico di Vladimir Putin. Non lo ha mai nascosto, ma non poteva e non può ignorare che i casi della politica siano come quella della vita, soggetti cioè a cambiamenti, anche radicali e improvvisi come spesso accade.

Il cosiddetto punto dolente (per Draghi e per Enrico Letta) è il rischio di una crisi che conduca a uno showdown governativo cui, tra l’altro, non potrebbe essere estraneo il comportamento di un Conte che potrebbe rivalersi delle figuracce toccategli – l’ultima con l’elezione di Stefania Craxi alla Commissione Esteri del Senato – con la minaccia dell’uscita dall’Esecutivo e con l’ipotesi, se non la certezza, di un voto anticipato a ottobre. In un simile contesto su cui pesa, come si è detto, una vera e propria guerra alla quale stiamo partecipando (e non come occasionali osservatori), la calma per dire così serafica di Mario Draghi non va confusa con l’altezzosa indifferenza di chi si sente al di sopra della politica politicante in quanto tecnico, ma esattamente per una visione soprattutto internazionale che l’esperienza di grande banchiere ha insegnato al nostro Premier. Ma basterà a scongiurare una crisi alla cui parola si preoccupano le grandi potenze? Salvini questo lo sa.

Aggiornato il 21 maggio 2022 alle ore 10:08