Quale presidente e quale identikit

Siamo di fronte a una scelta istituzionale importante per il ruolo che il Presidente della Repubblica occupa, per la lunghezza del suo mandato e per il contesto globale altamente variabile e difficile sotto ogni punto di vista. Arriviamo a questa scelta impreparati, perché da tempo la politica si è affossata e chiusa in un gorgo autoreferenziale dal quale non riesce o non vuole uscire, finendo per non capire più nulla della realtà in cui si trova e che non è capace più di rappresentare, diventando una sorta di corpo morto in un mondo in continuo fermento. Guardando questa tragica realtà da circo Barnum in cui sembra possibile tutto e il contrario di tutto, si rimane colpiti dalla mancanza di pensiero creativo ormai scomparso.

Questa penosa situazione porta alla mente l’immagine coniata al tempo per esprimere la decozione dell’Italia che avviene quasi a sua insaputa, esattamente come la rana che messa in una pentola portata lentamente a bollore non avverte le variazioni termiche e muore cotta, impossibilitata a reagire. Il Presidente della Repubblica rappresenta un ruolo istituzionale di riferimento. Invece di pensare a tanti nomi – ognuno dei quali presenta dei problemi – bisognerebbe costruire e immaginare un identikit di chi dovrebbe occupare quella carica e come dovrebbe porsi di fronte al Paese. Dovrebbe essere una persona lontana dagli scandali quotidiani, coerente con le sue scelte di vita e non una persona disposta a salire sul primo treno che passa. Dovrebbe avere una dignità che evoca il rispetto ma che accende i sentimenti, pertanto una persona portatrice di una alta visione sociale. Dovrebbe avere una cultura ampia con solide basi umanistiche, lasciando le competenze tecniche ai tecnici che hanno il modello mentale più adatto a risolvere i problemi e sono meno preparati ad affrontare e orientare una visione di cambiamento di una società che sembra andare verso il caos.

Una figura, quindi, che sia propositiva, capace di dare il senso del cambiamento verso un modello di società accogliente e non distruttiva, capace di aiutare a cambiare e a crescere una politica che sembra rimasta all’asilo, in grado solo di giocare sulle piccole cose e incapace di visioni alte e dedita, esclusivamente, alla realizzazione dei propri interessi, lontana dal bene comune più dichiarato come foglia di fico che come realtà voluta.

Sarebbe utile una persona capace di parlare di solidarietà al cuore delle persone, della necessità di stare insieme e non di farsi una guerra mortale tutti giorni, capace di porsi a livello internazionale. Alla luce di un identikit di questo genere, si capisce il dramma di una politica cieca e di modesto livello culturale. Così, si fanno girare i nomi come in una roulette, senza che vi sia uno spazio di riflessione. Nel frattempo, i nomi girano ma non rispondono a un identikit funzionale al bisogno del Paese, a una figura a cui ci si possa identificare con piacere. La Storia nel tempo ci ha dato tanti personaggi nei vari campi che hanno promosso cambiamenti epocali, nei quali era bello e gratificante identificarsi oggi. Se pensiamo ai giovani e a quali figure si potrebbero identificare, rimaniamo desolatamente senza nomi.

Insomma, siamo alla fine della politica e anche i tentativi, se possibile, di lasciare immutata la situazione che consenta agli eterei parlamentari di maturare la pensione, mentre il Paese sprofonda, dimostrano una squallida ipocrisia, perché come scrivevano i latini “quod differtur non aufertur”, ossia ciò che viene rinviato non viene risolto. E la rana, intanto, comincia lentamente ad avvicinarsi alla bollitura.

(*) Professore ordinario di Economia aziendale – Università Bocconi

Aggiornato il 24 gennaio 2022 alle ore 10:07