La sinistra è di nuovo un pericolo per la democrazia?

lunedì 29 novembre 2021


La sinistra italiana è tornata a essere un pericolo per la democrazia? Temo di sì, temo che la sinistra sia di nuovo un pericolo per la libertà e lo Stato di diritto, per la radicale intolleranza che nuovamente la caratterizza al termine di un periodo di profonda involuzione subita proprio negli ultimissimi anni. È come se una sorta di “comunismo di ritorno” avesse di nuovo preso posto nelle menti dei dirigenti di quello che sembrava diventato un “Partito Democratico di sinistra” teso a cambiare, a fare finalmente i conti con la sua storia, per evitare di essere travolto dal crollo del mito fondante dell’Unione Sovietica ed entrare stabilmente nel novero dei partiti affidabili in una democrazia.

Al di là della questione dei linguaggi utilizzati, pur grave in sé per l’aggressività che li connota, la cartina di tornasole di questa allarmante regressione è il ritorno insistito (dopo anni che praticamente non succedeva) delle richieste di negare l’agibilità politica, il diritto a partecipare, financo la possibilità di esistenza per partiti, movimenti e gruppi di opinione considerati a sinistra inaccettabili. Si badi: qua non parliamo di “comportamenti” violenti o criminali, personali o di gruppi, che vanno giudicati e condannati sempre, indipendentemente se abbiano o meno una matrice politica e quale essa sia e neanche della teorizzazione e istigazione alla violenza. No, qua parliamo anche delle semplici opinioni, demonizzate e criminalizzate con una allarmante sintesi che si risolve in una affermazione grave e molto pericolosa: “Il fascismo non è un’opinione, è un reato”. Perché la stessa frase, pronunciata contro un regime vincente da un martire perseguitato, assume un valore esattamente opposto se utilizzata da un giudice al potere per incarcerare.

Ora, la pura affermazione che il fascismo è “di per sé”, quasi ontologicamente, un reato è radicalmente antidemocratica e senza nessuna attenuante, perché incide sul punto cardine della democrazia e questo è vero comunque, anche senza tenere in conto la grande difficoltà a definire cos’è il fascismo, per le grandi differenze che hanno caratterizzato i vari e molto differenti movimenti storici (rivoluzionari, tradizionalisti, monarchici, repubblicani, clericali, laicisti, statalisti, ultraliberisti, razzisti o autoritariamente inclusivi) a cui si è voluta nel tempo attribuire questa qualifica. Difficoltà che apre la strada ad arbitrarie generalizzazioni che comportano il grande rischio di provare a criminalizzare ed escludere dal gioco democratico anche forze che per loro natura in realtà “fasciste” non lo sono affatto (a recentissimo esempio, le demolizioni di “Antifa” di veri simboli democratici del passato come Thomas Jefferson o della storia delle esplorazioni come Cristoforo Colombo).

Le parole non devono prestarsi a confondere strumentalmente i principi, non è il concetto denotato dalla parola fascismo a essere il contrario della democrazia, ma quello denotato dalla parola dittatura, che è di portata generale ed “erga omnes”. Limitandoci al fascismo archetipico italiano, non c’è dubbio che la riforma elettorale del 1928, col listone unico e il voto palese, insieme alle chiusure di giornali e ai provvedimenti di polizia contro tutti coloro che venivano catalogati come sovversivi, configurava la nascita di un regime dittatoriale, ma erano quei provvedimenti a renderlo tale, non il corporativismo, il nazionalismo, gli industriali o il pensiero di Giovanni Gentile. La violenza squadrista era esecrabile perché violenza, non perché fascista, allo stesso identico modo della violenza rivoluzionaria di chi voleva “fare come in Russia”, con l’occupazione delle fabbriche e l’aggressione agli ufficiali.

Quando Croce, Einaudi e De Gasperi, insieme alla gran parte dei moderati, votarono la fiducia al primo Governo Mussolini (che altrimenti non sarebbe mai nato) non pensavano certo di abolire lo Statuto Albertino e il parlamentarismo. Fu il partito preso del muro contro muro, della delegittimazione reciproca, che li travolse e finì per portare lo scontro definitivamente fuori dai binari democratici. Fu la pretesa degli uni di considerare “intollerabile per sua natura” l’esistenza degli altri. E questo non era per niente necessario e predeterminato, non c’erano affatto necessità storiche perché questo avvenisse, se non la tragica inadeguatezza dei capi politici di allora, incapaci per ignoranza e personale grettezza di mettersi “nei panni degli altri” di provare a comprenderne la ragioni, di vedere negli avversari comunque dei propri simili. E, d’altro canto, si sono visti nella storia anche governi, di destra come di sinistra, guidare talvolta perfino in senso autoritario i loro Paesi, ma senza cadere nel totalitarismo e nello scioglimento poliziesco dei partiti avversari e anzi in certi casi ponendo fine da soli ai provvedimenti emergenziali presi e alla loro stessa esistenza.

Il problema è che il “io non approvo quello che dici ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo” non ammette eccezioni, se si vuole restare in democrazia. Non si può dire tutte le opinioni sono ammesse, ma alcune però no: è troppo facile, ma completamente inutile, accettare unicamente opinioni solo di poco differenti dalle proprie. Questo la sinistra sembra non averlo ancora capito e forse non può proprio capirlo, poiché nuovamente schiava di una semplificazione rozza, comoda e facile, ma fuorviante e pericolosissima: quella dell’esistenza del “Male Assoluto”. Il male certamente esiste, ma non il Male Assoluto: il male ce lo troviamo di fronte spesso, ma sotto forma di “mali relativi” più o meno gravi o anche gravissimi, però sempre relativi, non per tutti e non per tutto, mischiati inevitabilmente anche a elementi positivi in percentuali estremamente variabili. E questo va tenuto sempre presente, in un mondo in cui le distinzioni sono sempre difficili, ma indispensabili, se si vuole provare a comprendere veramente ed agire correttamente.

Satana – qualunque sia il nome, religioso, politico, filosofico o altro, con cui sia stato connotato nelle varie epoche – è una delle più drammatiche e false invenzioni della storia, perché il credere alla sua esistenza ha sempre portato all’ottundimento delle coscienze, alla rinuncia ai ragionamenti, alla giustificazione delle peggiori barbarie, dalla Santa Inquisizione, ai gas nervini, alle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Anche se sono convinto che il comunismo sia stato peggio del fascismo italiano, perché volendo cambiare molto più radicalmente la società (dalla proprietà privata, ai mezzi di produzione) ha avuto una ben maggiore “necessità” di usare violenza, non mi verrebbe mai in mente di proporre la messa fuori legge dei comunisti unicamente in quanto tali e non solo noi liberali, ma nessuno nel centrodestra lo chiede. E questo bisogna che lo imparino anche a sinistra, anzitutto perché è fondamentalmente giusto, ma poi anche per loro stessi, perché coltiverebbero una ben miope illusione se pensassero che la rinascita di un antifascismo artificioso e intollerante non provocherebbe la ripresa di una reazione anticomunista contraria ed egualmente e indiscriminatamente liquidatoria.

Anche a sinistra, spero, devono finalmente scoprire la bellezza morale dell’essere liberali. Resta la più logora delle considerazioni, quella delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione (si noti, transitorie “e” finali, cioè entrambe le cose, finali, perché sono a chiudere, transitorie perché destinate a non durare nel tempo). Anche a voler ricordare il “passato che non passa” di Ernst Nolte, a 75 anni di distanza può una disposizione transitoria essere considerata ancora valida? No, non può, anzitutto perché nello spirito e nella lettera cozza contro tutto il corpo delle altre disposizioni, dato che è assolutamente contraddittoria con l’impianto democratico della nostra Carta fondamentale. Poi perché, nata per delimitare solo un periodo di trapasso, non fissa nessun termine, né nessun criterio per il suo superamento. Infine, perché non chiarisce affatto, una volta cessata la continuità storica, contro chi sia rivolta. La disposizione transitoria non può non considerarsi altro che decaduta in punta di fatto e anche di diritto, ma soprattutto in termini di giustizia, perché una mano che si leva nel saluto romano non può mai costituire un reato, una mano che ti spacca un bastone sulla testa lo è sempre. L’antifascismo deve essere un valore politico, non legale. E d’altro canto perché la sinistra di oggi deve fare ancora proprie le richieste del Partito Comunista staliniano di allora?

I reati di opinione non devono proprio esistere, sia quelli storici che quelli nuovi, che ci stiamo invece via via incoscientemente inventando con un “politically correct” alterato, cominciando così colpevolmente a distruggere l’edificio di Libertà costruito in tre secoli di Illuminismo e Democrazia Liberale. Il Male Assoluto non esiste, tranne per un solo attimo quando lo evochiamo, ma dentro chi lo sta evocando.


di Giuseppe Basini