Che differenza c’è tra violenza di destra e di sinistra?

Si condannano giustamente le violenze e si plaude agli arresti di “neofascisti” a Roma, chiedendo anche lo scioglimento delle loro organizzazioni, ma si passa sopra su quelle di Milano, dove 50anarchici insurrezionalisti” e “neo-comunisti” dei centri sociali sono stati fermati per violenze analoghe (simili a quelle che gli stessi gruppi hanno perpetrato in passato, spesso avvalendosi di una “comprensione” a sinistra). Bastano le etichette che i violenti si danno (spesso pretestuosamente e anacronisticamente) per giustificare un doppio peso?

Le violenze di chi si richiama folcloristicamente a ideologie “di sinistra” (probabilmente senza conoscerle) sarebbero più tollerabili di quelle di chi si richiama folcloristicamente al fascismo (spesso senza nemmeno sapere cosa esso sia stato)? La verità probabile è che si tratta, in entrambi, i casi di individui disadattati che si danno una maschera ideologica e un pretesto “politico” per esprimersi con la violenza, che è l’unico linguaggio e l’unico strumento di cui dispongano per carenza di istruzione e di immaginazione. La democrazia liberale si deve difendere da entrambi nella stessa maniera, senza doppi pesi e doppi standard.

La persistenza in Italia di quel peculiare doppio peso deriva dall’ambigua pedagogia dell’antifascismo ufficiale e retorico, che ha concesso per molti decenni una patente di democraticità all’ideologia e alle violenze comuniste, in nome delle presunte “buone intenzioni universaliste di giustizia socialecomuniste e della partecipazione dell’Urss e dei partiti comunisti europei (ma solo dopo l’invasione dell’Unione Sovietica del giugno 1941!) alla guerra delle democrazie occidentali al nazifascismo.

Questa equivoca pedagogia ha lasciato sopravvivere il mito (esplicito per esempio in Antonio Gramsci) della “violenza progressiva” che sarebbe giustificabile (e anzi per qualcuno l’unico mezzo efficace per trasformare il mondo), a differenza della “violenza reazionaria” e persino di quella istituzionale e delle forze dell’ordine dello Stato democratico e liberale in quanto “borghese”. È tempo di chiarire che la violenza, anche politica, in una democrazia liberale è sempre inaccettabile, sia quella “di destra”, sia quella “di sinistra” e che il nemico della società aperta e libera nel Novecento è stato il totalitarismo, sia quello fascista che quello comunista.

Aggiornato il 14 ottobre 2021 alle ore 09:16