Se Albertini e Bertolaso…

La storia (e anche la cronaca) si dice non si faccia con i “se”, ma la frase o è una semplice e lapalissiana tautologia oppure è una delle più fuorvianti, perché si capisce e si giudica, invece, proprio con i “se”. E se i “se” servono a capire il passato, ancor più aiutano a riflettere sul presente e il futuro.

Se Gabriele Albertini e Guido Bertolaso, infatti, fossero stati candidati a Milano e Roma, il centrodestra, con estrema probabilità, non starebbe a contemplare gli esiti di una campagna elettorale incerta, ma a celebrare una vittoria, perché gli stessi sondaggi che con loro ci davano vincenti ci davano invece perdenti con personaggi meno conosciuti. Non mi interessa indagare su chi nel centrodestra si è ritratto da quella unanimità di consenso che i due chiedevano per mettere in gioco la loro personale credibilità, ma ritengo invece doveroso ricordare che Matteo Salvini ha fatto davvero tutto il possibile per convincere i suoi alleati a incoraggiarli e sostenerli, per determinarne positivamente la scelta.

Se guardiamo alla storia occidentale, Italiana e non solo, la sinistra poche volte ha vinto contro la borghesia, poche volte, ma qualche volta sì, mentre la destra mai. Allora perché è stata quasi ignorata nelle scelte e soprattutto nello stile di comunicazione questa parte di società, dando come per scontata la vittoria delle sinistre nei centri storici, per concentrarsi quasi esclusivamente (sole eccezioni le piccole aziende del Nord) sui borghi e sulle periferie?

Se uno scontro è tra due schieramenti, di regola vince quello che più sa portare dalla sua parte il maggior numero di tendenzialmente neutrali o indecisi. Ma allora perché non si è cercato neanche un dialogo, un’interlocuzione, con la sinistra moderata dei Matteo Renzi e Carlo Calenda, che avrebbero potuto (e potrebbero) essere quello che social-democratici e repubblicani erano, negli anni Quaranta e Cinquanta, nei confronti del blocco Democristiano-liberale?

Se la Lega oscilla ormai tra il venti e il trenta per cento dei consensi, davvero possiamo pensare che rappresenti lo stesso elettorato e le stesse richieste di quando oscillava tra il quattro e il dieci? O non è il caso di riflettere se essa oggi non rappresenti, per volere precipuo degli elettori, l’erede della vecchia Democrazia Cristiana, anche se certo non quella sfatta e orientata a sinistra degli ultimi anni, ma quella solida, liberale e orientata a destra di Alcide De Gasperi, Giuseppe Pella, Mario Scelba, Don Sturzo (e Pio XII)?

Se la Lega ha probabilmente una parte di ragione (non tutta) nel dire che alcune destre moderate europee si condannano talvolta alla sconfitta, rifiutando pregiudizialmente ogni dialogo con quelle più radicali, a differenza di quello che facciamo in Italia, possibile che non si rifletta sul fatto che tale legittima opinione sarebbe molto più convincente e accettata se la Lega facesse parte del Partito Popolare europeo?

Se l’Europa non è solo una libera scelta, ma una reale necessità, in un mondo dominato da super potenze extraeuropee, armatissime ed economicamente aggressive, la Lega, che molto giustamente difende il ruolo Italiano, non deve però lasciare alcun dubbio sul suo europeismo, permettendo alla sinistra, che storicamente è stata invece contraria a tutte le tappe della costruzione comunitaria, di rifarsi una nuova verginità come paladina dell’Europa.

Se riconosciamo come centrale, la “battaglia delle parole”, dobbiamo essere capaci di imporre noi all’ordine del giorno i temi del dibattito politico, non perdere tempo a parlare di un agronomo, morto nel 1931, perché era fratello del duce, ma chiedere a Enrico Letta, se vuole essere credibile come leader democratico, di rompere oggi i rapporti con gli estremisti tipo Laura Boldrini e Nicola Fratoianni e con il comunismo infantile di Roberto Speranza.

Se vogliamo vincere la battaglia delle idee, che si innesta in quella delle parole, dobbiamo rendere evidente che una sinistra che ha perso ogni fiducia nel progresso, diventando una sorta di ibrido bigotto tra il nichilismo e frà Girolamo Savonarola, sta mettendo in grave pericolo il nostro futuro. A questo proposito, a ogni generazione c’è qualche ragazzino che giura di aver avuto una visione, ma quando si arriva a prendere sul serio, fino a farne un interlocutore accreditato, Greta Thunberg, che non risulta aver speso una vita nei laboratori o a studiare statistiche e straparla del “bla bla” dei potenti, dimenticando il suo, si rischia davvero di perdere ogni razionalità. La Lega deve mostrare di saper immaginare il futuro per contribuire a determinarlo. Un futuro che sappia aprirsi al nuovo, conservando memoria della nostra storia e dei suoi valori, guardando allo Spazio, al Nucleare, all’intelligenza artificiale, alle biotecnologie, con attenzione, ma anche l’occhio critico di chi sa governare gli avvenimenti senza lasciarsene travolgere, per mantenere, nel progresso, sempre viva quell’umana aspirazione, che fa la vita degna d’essere vissuta, che si chiama Libertà.

Se vogliamo avere una posizione riconoscibile sulla crisi pandemica, questa deve essere chiara: “sì” convinto ai vaccini, perché lo dice la scienza ed è in gioco la nostra salute, “no” deciso al prolungamento dello stato di emergenza, perché la sospensione dei diritti costituzionali, se prolungata, trasforma lo Stato in totalitario e mette in gioco la nostra libertà.

Se il presidente della Repubblica non è arbitro, ma parteggia, più o meno apertamente per una delle parti, il gioco democratico viene falsato. Mario Draghi, per la sua vita e la sua storia, è sempre e solo stato un uomo delle istituzioni, senza coinvolgimenti di parte. Oltre al prestigio e alla grande competenza, come si richiede a un presidente, questa è la principale qualità che ne fa il naturale e migliore nuovo capo dello Stato, come segnale di stabilità e soprattutto di garanzia per tutti.

Se guardiamo obbiettivamente la storia della Lega, dopo un timido tentativo con la Lega Italia Federale (tenuta però allora separata dalla Lega Nord) è stato solo dopo la scelta nazionale (di cui tutti dovremo essere sempre grati a Salvini) che la Lega è diventata un vero grande partito protagonista, risalendo da un triste quattro per cento fino a partito di maggioranza relativa. E questo è perfettamente in linea non solo con le esigenze della lotta politica, ma anche con la sua storica ispirazione, perché attorno al carroccio si difendeva non tanto Milano contro Lodi, ma soprattutto l’identità italiana dall’imperatore tedesco mentre Carlo Cattaneo, il più grande dei federalisti italiani, fu l’animatore di quelle “cinque giornate di Milano” che furono il primo momento realmente popolare di sollevazione nazionale antiaustriaca. Il patriottismo (per me valore irrinunciabile) malgrado anni di predicazione antinazionale del Partito Comunista, è sentimento vivissimo nel nostro Paese e deve essere base di ogni nostra azione, presente e futura, anche in Europa, che vogliamo unita, ma nell’uguaglianza reale di tutti i suoi cittadini.

Se vogliamo che i cittadini si riconoscano nella Lega come partito che li rappresenta e li difende su tasse, libertà individuali, possibilità di intraprendere, difesa dei confini, progresso economico, autonomia dello stile di vita, che vedano insomma nella Lega un voto utile per le loro aspirazioni, occorre che la Lega sia al Governo e al centro della coalizione del centrodestra (che è cosa ben diversa dallo stare al centro). La Lega deve rifiutare però tanto di stare al Governo per ricercare quasi una legittimazione dai post-comunisti, quanto di giocare al tanto peggio tanto meglio, rifiutando ogni responsabilità nella guida del paese. Che è poi proprio la linea mediana che già cerca di tenere, grazie alla sua ottima classe dirigente, con alterne fortune (ricordiamo però, con Kipling, che il trionfo e la disfatta sono, alla fin fine, due mentitori) ma con perseveranza e visione del futuro. E deve cercare di rendere questa sua posizione responsabile più chiara possibile, come ha già fatto coi referendum sulla giustizia.

Se la Lega è tutto questo e io credo già lo sia, deve renderlo chiaro, evidente e riconoscibile, rivendicando di essere, nella tradizione italiana, un grande Partito Liberale (sia chiaro con la “e” finale) e questo non solo per la politica interna, ma soprattutto per la collocazione internazionale. Che si vogliano chiamare “libertarians, conservatives o tories”, perché questo chiede la loro tradizione, è ai Ronald Reagan, ai Rand Paul, alle Margaret Thatcher che dobbiamo richiamarci e insieme a loro ai Charles de Gaulle, agli Konrad Adenauer e agli Franz Josef Strauss, seguendo però il filo di una tradizione tutta italiana, che da Camillo Benso conte di Cavour e dalla “destra storica” di Quintino Sella e Marco Minghetti, passa per Antonio Salandra e Sidney Sonnino, Giosuè Carducci e Gabriele D’Annunzio, fino a Luigi Einaudi, Giuseppe Pella, Antonio Segni, Giovanni Malagodi e Silvio Berlusconi (e magari anche ad alcuni socialisti liberali come Bettino Craxi).

Lo so, la Lega è nata diversamente, da un moto di popolo, ma da un popolo che, magari confusamente, chiedeva la Libertà e oggi si trova ad essere, di fatto, quel Partito Liberale e cristiano di massa, che il Pli, troppo elitario e perfezionista, non riuscì mai a diventare. La Lega non deve permettere che la sua immagine venga distorta dai suoi avversari e il dichiararsi apertamente liberale, come d’altro canto Salvini già ha affermato in alcune occasioni parlando di “alternativa liberale”, renderà loro molto più difficile affibbiarci una maschera falsa per nascondere, nel contrasto, la loro veramente scarsissima propensione per la democrazia. Continuare dunque anche con l’efficace battaglia sui social, non siamo in un club ristretto, ma a partire da una seria, convinta, consapevole e soprattutto chiara scelta ideologica.

Se questo sarà per l’immediato futuro, oggi però dobbiamo correre per i ballottaggi. I nostri candidati cominciano fortunatamente a essere più conosciuti, recuperando il gap iniziale, si tratta allora di far capire agli elettori che devono mobilitarsi, perché se anche non si occupano di politica, la politica si occupa però di loro e il marcato scivolamento del nostro Paese verso una forma di “socialismo reale” da Paese dell’Est, mascherata da “politically correct”, sta erodendo i loro spazi di libertà, il loro stile di vita e il loro benessere. Tutti al voto dunque, per il centrodestra, la Lega e la Libertà.

Aggiornato il 09 ottobre 2021 alle ore 11:18