Scherza con i fanti e lascia stare i santi: trionfano i cristiani anticristiani

Raramente ho letto qualcosa di più sballato in tema teologico. Ritengo di avere una certa preparazione sulla storia delle religioni, anche se non è argomento di cui parlo o scrivo (sono molto laico). Ma bando alle ciance: sto parlando di una recensione su Il Venerdì di Repubblica del 10 settembre scorso. L’autore, Filippo di Giacomo, presenta ai lettori il libro “Il Vangelo degli Angeli” di Eraldo Affinati.

Né il saggio né tantomeno la recensione sono centrati. Sul libro ho solo obiezioni di fondo, perché prima dovrei leggerlo. Forse il recensore ha dato un’interpretazione e una lettura sbagliate al testo di Affinati. Comunque sia, prima di tutto consiglierei di leggere il saggio di Andrea Colamedici e Maura GancitanoTu non sei Dio. Fenomenologia della spiritualità contemporanea” (Tlön 2016), che fornisce la direzione giusta: nel mondo tutti sono diventati ultra-realisti, e tutto ciò che è spiritualità viene ignorato, da Buddha a Maometto, da Confucio a Cristo a Emerson.

Tutto tranne le dilaganti derive nate col New Age (ma già nell’Ottocento con Madame Blavatsky). Ma il nuovo “spiritualismo” non è lo specchio del disincanto di quelli che non credono che “ciò che si vede proviene da ciò che non si vede” (copyright San Paolo e Fisica delle particelle). La nuova spiritualità è piuttosto simmetrica all’indifferenza di chi neanche si pone questioni come il senso della vita epperò finisce per adorare il primo Babbeus ex machina, o per credere in San Smartphone, oppure nella tavoletta dove ogni giorno dà il meglio di se stesso. Ma ha senso vivere solo di tablet e digestioni?

Bando alle ciance (lo so, è la seconda volta che lo dico ma non lo faccio). La recensione parte da un luogo comune: il Cristianesimo si basa sulla fede in Gesù, su ciò che ha detto e fatto. Però, per Affinati (o per Di Giacomo, meglio) la questione va rovesciata. Anche se “Gesù non era un credente nel senso che attribuiamo alla parola”… “in cosa credeva allora?”. E qui ho cominciato a scalpitare: le disquisizioni teologiche sono per me un abominio, preferisco il Vangelo. Però se con teologia intendiamo la fedeltà al testo biblico, alla sua simbologia, al suo significato, allora le cose cambiano. A quel punto il recensore fa un parallelo tra la canzone di Lucio DallaSe io fossi un angelo” e il “Vangelo degli angeli”. Molto pop, com’è giusto in una cultura sempre più da poppanti. Perché Gesù in realtà crede in qualcosa: “Crede in modo smisurato all’umanità”.

Gesù crede nell’Umanità (con la U maiuscola)? Il culto di certo cattolicesimo newager nell’umanità più bella, pulita, ambientalista, animalista, egualitarista, pauperista non è cristiano, è il suo rovesciamento. Ma non è nemmeno logico. Gesù ama l’umanità ma non le attribuisce un culto, il che sarebbe insensato. Il significato del sacrificio della croce è quello (sottolineato dal teologo René Girard) di abolire le religioni mettendo fine a ogni sacrificio (la produzione di “sacro”) con la propria crocifissione. In questo modo l’umanità ha avuto almeno la percezione e la possibilità di mettere fine all’archetipo del capro espiatorio, che vuole che sia uccisa una vittima perché il male si allontani dal Villaggio. Il “capro espiatorio” è un problema fondante di ogni società, e ne rappresenta un limite enorme da sempre.

Capisco che Marco Travaglio, certa destra e certa sinistra, siano invece ossessivamente sempre alla ricerca di un colpevole, perché è più facile dare la colpa a qualcuno di esterno e diverso da te. Invece Cristo rovescia la questione: guarda dentro te stesso, non “lanciare la prima pietra”. Quindi la questione centrale è amare l’altro, non quella di additarlo come colpevole. Gesù sa e dice chiaramente che l’umanità ha dei limiti, che nessuno è santo e che nessuno può essere salvato da se stesso o da un suo rappresentante. Il “peccato” (l’errore) è “originale” cioè universale, e non lo si cancella semplicemente entrando nella “comunità dei credenti”.

In sintesi: Gesù ama l’umanità, ma non “crede” affatto nell’umanità. Gesù invece di indicare se stesso, o una élite umana che non può esistere, indica Dio Padre. Traducendo la parola Dio in versione laica, possiamo dire: “Ciò che è ineffabile, che non può essere indicato o espresso perché è invisibile, indefinibile, eterno, esterno (ma non estraneo) alla società”. Il teorema di incompletezza di Gödel è l’analogia più vicina al concetto cristiano di fede in Dio. La consapevolezza dei nostri limiti – così come indicata dal Messia – può portarci al di là dei recinti in cui viviamo.

Aggiornato il 24 settembre 2021 alle ore 10:08