I Letta al lavoro

Zio e nipote lavorano a pochi metri di distanza: Gianni ha studio in uno splendido palazzo in largo del Nazareno, Enrico in via di Sant’Andrea delle Fratte, dove, al civico 16, ha sede il Partito Democratico. Un tiro di schioppo separa i Letta, “largo” e “via” sono di fatto tutt’uno e dagli affacci dei palazzi i due si possono pure salutare.

I luoghi sono spesso presagio dell’avvenire, indicano in qualche modo i destini. Può darsi che i sampietrini calpestati da entrambi ogni giorno traccino, proprio, qualcosa di questo genere: un cammino politico di avvicinamento fra Pd e Forza Italia per la nascita di un’area liberale-popolare.

Andiamo con ordine. Che l’ex sottosegretario alla presidenza nei governi guidati da Silvio Berlusconi – il “dottore” come viene chiamato – sia il più abile dei tessitori politici, il maestro di tutti i tessitori, vien da dire, è cosa conosciuta, raccontata anche nei libri; che abbia a cuore la ricomposizione di una forza moderata è cosa altrettanto nota; e fa parte del risaputo anche il fatto che da tempo fili e tessa rapporti tra esponenti di Forza Italia e alcuni centristi.

L’ex presidente del Consiglio, Enrico, porta nel sangue la scuola della Democrazia Cristiana, è cresciuto, si può dire, a “pane e Dc”, e da quella scuola ha ripreso i tratti del moderatismo, della mediazione, della riflessione. Caratteristiche che lo pongono distante anni luce dalla pseudocultura populista, quella che taglia i problemi con l’accetta, offre soluzioni un tanto al chilo e arriccia il pensiero come fosse calcina.

Il Pd non ha ancora sciolto alcuni nodi di fondo, ad iniziare dal rapporto con il Movimento 5 Stelle e le forze centriste. È possibile che Enrico Letta, invece, abbia idee più chiare sulle cose da fare e sugli interlocutori da privilegiare di quanto non abbiano altri dirigenti del suo partito. Non è detto, beninteso, che questo lo segua compatto, però il progetto potrebbe avere gambe per iniziare a muoversi fin d’ora.

Enrico Letta ha fin qui gettato due ponti: uno verso il Movimento 5 Stelle (se) guidato da Giuseppe Conte, e lo ha fatto fin dal suo insediamento alla segreteria del Pd; l’altro verso Forza Italia, e lo ha fatto in tempi recentissimi.

Questa doppia apertura può sembrare a prima vista contraddittoria. A ben vedere, non lo è. In una strategia di medio e lungo periodo, la sua logica politica può essere quella di costituire un’entità liberale-popolare a quattro gambe: la prima con una parte dei forzisti lontani dalle posizioni di Matteo Salvini e Giorgia Meloni; la seconda con gli ex grillini filo-governativi guidati da Conte; la terza gamba con le forze minori già al centro dell’emiciclo e già in orbita liberale, e finalmente la quarta, quella più importante per la buona riuscita del progetto, ossia con la parte “liberal” dei democratici.

Certo, il progetto è complesso ed è ancora da definire nel contenitore e nel perimetro. Per di più potrebbe esporre il Pd a fratture dolorose. Dunque, quel che oggi può apparire una strada almeno sperimentabile, tra qualche mese potrebbe risolversi in una voragine, in soluzione assolutamente impraticabile, anche per le scelte che attendono il futuro politico di Mario Draghi, Matteo Renzi e dello stesso Giuseppe Conte.

Le incognite insomma sono ancora molte. Eppure, sui sampietrini qualcosa si muove e lo scalpiccio a Sant’Andrea delle Fratte e al Nazareno inizia ad essere sentito anche altrove, di qua e di là del Tevere. E a destra cosa si pensa di fare?

(*) agiovannini.it

Aggiornato il 22 aprile 2021 alle ore 09:23