Il Ddl Zan: un progetto illiberale

Il nuovo segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, ha nei giorni scorsi auspicato l’approvazione definitiva (anche in Senato) del disegno di legge Zan (dal nome del deputato presentatore Alessandro Zan), “contro l’omofobia e la transfobia” che è stato già approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 4 novembre del 2020. Nonostante che Letta lo abbia rilanciato come “modernizzatore”, i liberali – e non solo i conservatori – non possono che opporsi a quel Ddl perché si tratta di un progetto illiberale, anche se apparentemente orientato ad obbiettivi liberali, come la lotta alle discriminazioni e le violenze ai danni delle persone omo o trans-sessuali.

Intendiamoci: ogni liberale aborre come illiberale ed incivile (io ne ho anche un personale disgusto) ogni discriminazione, ogni offesa, ogni degradazione irrispettosa verso un individuo per i suoi orientamenti sessuali, come per qualche altra ragione, motivo o pretesto. Ma è vero anche nessun liberale può tollerare che la difesa degli omosessuali e transessuali comporti l’istituzione surrettizia di un nuovo reato di opinione per di più formulato in maniera talmente generica da poter colpire, o almeno zittire, chiunque esprima semplici opinioni in materia di sessualità di carattere scientifico, filosofico, antropologico o religioso. Nessun liberale può poi accettare che alcuni cittadini, da discriminati e ingiuriati, diventino, in forza di una legge, soggetti di diritti ad una protezione speciale che ne faccia una categoria privilegiata di cittadini (detentori all’occasione anche della facoltà di abusare di quella protezione speciale). Nessun liberale può poi accettare che si introduca surrettiziamente, attraverso una legge, un’ideologia da stato etico – come quella del “gender” – ancorché motivata dall’edificante e condivisibile proposito di prevenire discriminazioni, offese e violenze.

Nessun liberale, infine, può ancor meno accettare che con una legge si voglia imporre quella ideologia con una specie di lavaggio del cervello ai bambini delle elementari, ponendoli di fronte a problemi e addirittura a scelte inusitate ed ansiogene per i quali non sono maturi e possono subirne danni psicologici duraturi. Ma sarebbero proprio queste ultime le conseguenze se il disegno di legge Zan fosse approvato anche dal Senato, acquistando forza di legge. Esso integra ed estende alle motivazioni sessuali e di genere, la (già illiberale) legge Mancino (“Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa” del 1993) e, quindi, l’articolo 604 bis del codice penale.

In sostanza, il Ddl Zan equipara ai reati di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa anche gli atti di violenza o di incitamento alla violenza o alla discriminazione “fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità”. Se esso diventasse legge, istituirebbe un ulteriore reato specifico che punirebbe (con la reclusione da 6 mesi a 4 anni, con ammende e anche con pene accessorie) non solo gli atti di violenza e di incitamento alla violenza, ma anche gli “atti discriminatori” e persino gli “incitamenti alla discriminazione” (come fa già la controversa legge Mancino). Non sarebbe necessaria cioè l’istigazione all’odio e alla violenza, ma basterebbe quella alla “discriminazione” e addirittura “l’incitamento alla discriminazione” per incorrere nel reato. Ciò rende il disegno di legge Zan molto ambiguo e controverso, perché apre la strada ad interpretazioni onnicomprensive (ad arbitrio del giudice) su ciò che si intenda con la vaga parola di “discriminazione” e ancor più con quella ancora più vaga di “incitamento alla discriminazione”. Tutte le opinioni critiche possono rientrarvi (come già ha rilevato su questo giornale Mauro Anetrini).

Il maldestro estensore del disegno di legge ha cercato di prevenire l’accusa di creare un reato d’opinione onnicomprensivo e afferma perciò (articolo 4): “Sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”. Benissimo! Ma poi, subito dopo aggiunge qualcosa che annacqua e in buona parte contraddice la premessa, perché precisa “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Quest’ultima frase mette a rischio e contraddice la prima. Cosa vuol dire “concreto pericolo”? Chi stabilisce cosa sia un “atto discriminatorio”? Il giudice? Ancora una volta si conferirebbero ai magistrati eccessivi poteri discrezionali e si rischia l’arbitrio e il governo dei giudici.

Ognuno vede che, in base a quella norma, sostenere per esempio sulla base di considerazioni religiose e scientifiche che esistono differenze biologiche alla base dell’orientamento sessuale, rischia di apparire un “atto discriminatorio”. Sostenere, sempre per esempio, sul piano educativo, simbolico e antropologico che esistono differenze rilevanti tra genitori eterosessuali e genitori omosessuali, rischia di apparire una discriminazione. Esprimere un’opinione negativa rispetto alla possibilità di celebrare un matrimonio egualitario, con possibilità di adozione dei bambini, per le persone omosessuali rischia ugualmente di essere inteso come un “atto discriminatorio”.

L’interpretazione del giudice avrà un peso decisivo, con tutti i rischi connessi, come mostrano alcuni controversi processi avvenuti in paesi occidentali, dove esistono già leggi in materia che puniscono con sanzioni pecuniarie e carcerarie oltre agli atti violenti anche l’“incitamento all’odio” (ma non anche il più vago “incitamento alla discriminazione”, come prevede il disegno di legge Zan), Questi Paesi sono Francia, Danimarca, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia.

È rimasto famoso il caso del pastore svedese Ake Green che nel 2003 fu condannato a un mese di carcere duro per “incitazione all’odio verso una minoranza” perché in un sermone pronunciato a Borgholm, isola di Oland (Svezia orientale), il 20 luglio del 2003 davanti a una cinquantina di persone, aveva definito l’omosessualità “una tendenza anormale”. Particolarmente controverse furono le sentenze di primo e secondo grado, confermate poi in Cassazione nel dicembre del 2020 (dopo una pronuncia conforme della Corte di Giustizia dell’Unione europea) con cui l’avvocato Carlo Taormina fu condannato in sede civile ad un’ammenda di 10 mila euro per aver dichiarato, nel corso di una trasmissione radiofonica, di non volere “assumere omosessuali” nel suo studio personale.

Quanto agli Usa la legge federale richiede, perché vi sia reato, un vero atto violento motivato da omofobia e non basta un semplice “incitamento alla discriminazione” come previsto dal ddL Zan, ma la legislazione di alcuni Stati proibisce l’atto discriminatorio. È rimasto famoso il caso del pasticcere Jack Phillips di Denver, che nel 2012 fu condannato, in base alle leggi del Colorado, per essersi rifiutato – adducendo motivazioni religiose – di preparare una torta di nozze per una coppia gay. La Corte suprema americana sei anni dopo dette in parte ragione al pasticcere, ma la controversia è andata avanti per anni.

Sto ricordando questi casi non per entrare nel merito e “dare ragione” agli accusati di omofobia ma per mostrare il conflitto con la libertà di opinione e di espressione (una libertà concepita dai liberali per consentire proprio le opinioni “scorrette” che non si condividono) e le controversie che si possono creare quando si rischia di sanzionare opinioni, che possono facilmente apparire come “incitamento alla discriminazione”, specie quando la legge è troppo ambigua come prefigurata nel Ddl Zan, intrisa di norme illiberali, nonostante l’avversione fondamentale dei liberali ad ogni discriminazione, ad ogni violenza e ad ogni genere di odio.

Ma c’è di più. Il Ddl Zan (all’articolo 6) prevede poi l’istituzione per il 17 maggio di ogni anno della “Giornata nazionale contro l’omofobia la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” finalizzata – recita il testo – a “promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione e a contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivate dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere”. In particolare, vengono previste “cerimonie, incontri ed ogni altra iniziativa” nelle Pubbliche amministrazioni e “nelle scuole”. A parte il fatto che tutto questo ha il sapore e l’odore di regime ideologico da Grande Fratello e da Minculpop, si badi: quelle cerimonie e iniziative sono previste in tutte le scuole, non escluse quindi quelle elementari.

Ora mi domando: parlare di omofobia, lesbofobia, bifobia ai bambini delle elementari non significa porre bambini impuberi davanti a falsi problemi per giunta prematuri e di difficile comprensione alla loro età? Specie se li si vuole porre addirittura forzatamente davanti a una “scelta” esistenzialmente cruciale come l’identità di genere? Non significa forse volerli condizionare ponendo loro problemi fuori luogo e inappropriati alla loro età e sottoporli ad una specie di lavaggio del cervello? Non sarebbe forse questa una violenza peggiore delle discriminazioni che si vogliono con la quella legge prevenire?

Questi rischi sono evidenti tanto più che all’articolo 1 del Ddl Zan appaiono delle “definizioni” che affermano esplicitamente una netta separazione tra “sessobiologico da una parte e dall’altra “orientamento sessuale” e “identità di genere”. Appare chiara sin dall’articolo 1 del disegno di legge la volontà di privilegiare l’autodeterminazione della persona rispetto al dato biologico nel definire l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Due aspetti che, francamente, molto difficilmente possono essere separati da un punto di vista scientifico.

La loro radicale separazione – proclamata implicitamente nell’articolo 1 della legge – lascia trapelare la volontà di trasmettere surrettiziamente come etica dello Stato un’ideologia antiscientifica: quella del gender, della “no-difference” e del sesso come oggetto di scelta individuale. Ciò è tipico di uno Stato etico e non di uno Stato liberale: tanto più che si vuole imporre quell’ideologia persino ai bambini.

Come se non bastasse la legge affida poi (articolo 8) all’Unar (Ufficio per il contrasto alla discriminazione presso la Presidenza del Consiglio-Dipartimento Pari opportunità) il compito di elaborare ogni tre anni addirittura una “strategia nazionale” preventiva di “misure relative all’educazione e all’istruzione, al lavoro, alla sicurezza, con riferimento anche alla situazione carceraria, alla comunicazione e ai media”. Lo Stato liberale si farebbe così Stato etico, ideologico e propagandista di un’ideologia particolare e antiscientifica. Letta ha addirittura conferito a quel Ddl il potere di favorire e segnare la “modernità” dell’Italia. Evidentemente ha un’idea alquanto illiberale della modernità, mentre dovrebbe sapere che la modernità è nata dal liberalismo e con il liberalismo.

Contro quel Ddl i liberali, con tutto il rispetto per gli omosessuali, non possono che opporsi. Non serve a nessuno perché già ci sono norme adeguate, istituisce un nuovo reato di opinione (in aggiunta a quelli previsti dalla legge Mancino) e accentua il carattere di Stato etico del nostro ordinamento giuridico. E, come se non bastasse, mette a repentaglio la serenità dei bambini delle elementari, rischiando di provocare loro gravi danni psicologici potenzialmente irreversibili. No.

Aggiornato il 12 aprile 2021 alle ore 09:12