A lezione di metodo da Davide Casaleggio

Chiariamo un concetto: non è saggio irridere coloro di cui non si condividono le idee politiche. Non è questione etica, ma pratica. La sottovalutazione è l’anticamera della sconfitta. Dire a posteriori: “e chi l’avrebbe immaginato” non è una concessione all’imprevedibilità del Fato ma l’ammissione di un deficit valutativo. È per questo che abbiamo preso molto sul serio l’evento organizzato ieri l’altro dall’Associazione Rousseau e titolato “Manifesto ControVento”. La lettura che hanno dato i media della manifestazione on-line promossa da Davide Casaleggio e dal suo gruppo di esperti, è deludente. Ridurla a un contenzioso finanziario tra Rousseau e Movimento Cinque Stelle è stata un’errata semplificazione.

Ciò a cui abbiamo assistito, sebbene non ci abbia convinto, merita rispetto e attenzione. Il leitmotiv dell’iniziativa ha riguardato la metodologia. Che in politica, come nella vita, è l’esatto contrario dell’approssimazione. Per Casaleggio e soci è il metodo l’elemento conduttore della democrazia partecipata. La strutturazione della modalità dell’agire politico, in questo caso, attiene all’illimitata capacità veicolante della Rete che, attraverso le vie del digitale, consente l’approdo a una nuova centralità conferita al cittadino all’interno della società. Il Manifesto richiama la suggestione della democrazia diretta, disintermediata, che grazie alle nuove tecnologie della comunicazione rinuncia alla funzione di raccordo dei corpi sociali intermedi. Un colpo ferale alla democrazia rappresentativa inferto dall’accesso incondizionato dei cittadini alle informazioni, al rapporto diretto con i candidati, al controllo dell’attuazione del programma e alla partecipazione collettiva alle scelte. Nella visione di Casaleggio, mutuata da quella di suo padre Gianroberto, i luoghi tradizionali della politica si trasferiscono nella Rete che è “politica allo stato puro”.

Nella cornice filosofica del Manifesto ControVento si inserisce la figura di Jean-Jacques Rousseau con la sua critica radicale alla rappresentanza politica e con il mito della legge come espressione della volontà generale. Peccato però che questa idea di democrazia si scontri con una realtà che si indirizza in direzione opposta. Esiste un Parlamento e i grillini hanno accettato di farne parte, adeguandosi rapidamente agli usi comuni e agli agi, appannaggio dello status di parlamentare. Casaleggio ha centrato la diagnosi del male oscuro che affligge il Movimento. Tuttavia, l’idea di andare controvento per decollare verso una seconda fase della “rivoluzione pentastellata” è illusoria in una condizione di contesto nel quale la maggior parte dei deputati e senatori grillini, se interrogati sul da farsi, risponderebbe convintamente “hic manebimus optime”. Come a dire “a noi sta bene così, perché cambiare?”.

Il “ControVento” di Casaleggio non è un volo di gabbiano ma finisce per essere un’andatura di bolina. Tra l’utopia e il sogno va in scena la rimozione della realtà. Come dargli torto: più alto e nobile è risalire il vento per un ritorno alle origini mitiche del Movimento che restare impantanati nella palude del Cinque Stelle di governo. Casaleggio cita il discorso di Pericle agli ateniesi, tratto da Tucidide: “Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia”. Ma, in questo tempo storico, una società complessa qual è quella di un Paese dell’Occidente avanzato può reggersi replicando gli schemi della polis nella Grecia del 461 avanti Cristo? La composizione unitaria degli interessi concorrenti in una democrazia non può non essere collocata all’interno dell’architettura istituzionale. E non può essere affidata in outsourcing a una community social gestita da un’impresa privata. A cosa altrimenti servirebbero un legittimo processo elettorale e un Parlamento liberamente formato? Può la piattaforma Rousseau, per quanto ampliata nella partecipazione, garantire un effettivo processo democratico nella selezione della classe dirigente interna?

Il problema non sfugge al leader della Casaleggio & Associati se è vero che nel panel di presentazione tenuto da Enrica Sabatini, responsabile dell’area ricerca e sviluppo dell’Associazione, si fa espresso riferimento al merito che deve informare la scelta dei rappresentanti del popolo. La Sabatini si spinge oltre e sentenzia “uno non vale l’altro” che è la definitiva abiura di uno dei fondamenti costitutivi del Movimento Cinque Stelle: l’uno-vale-uno. Ma, la pur apprezzabile accettazione di un processo di formazione della classe dirigente su un criterio meritocratico, che va celebrato, implica il riconoscimento della positiva funzione delle élite nella società democratica. Eppure, per Casaleggio la comunità, paradigma speculare del “tutto” della psicologia della Gestalt, resta maggiore delle sue parti perché, proprio come per la teoria della Gestalt, essa non è somma di elementi ma sintesi di realtà. La soggettività totalizzante della comunità giustifica l’assunzione del principio egualitario a fondamento della vita sociale, ma non la presenza di una gerarchia del merito nella concettualizzazione del decisore politico. Come si concilia tutto ciò con l’idea esposta ieri l’altro? Il voto può essere realisticamente dibattito e non passiva ratifica di scelte compiute altrove, anche quando il processo decisionale dipende dalla qualità delle competenze e delle esperienze intervenute a formarlo? E può lo spazio digitale modificare l’architettura sociale, consentendo al cittadino di vestire i panni del legislatore?

Si scorge nel progetto una contraddizione tra la necessità di dotare di competenze il decisore politico collettivo e il principio di partecipazione, proprio della cittadinanza attiva. Prova plastica ne è stata uno schietto intervento in chat di un iscritto all’evento che si domandava “io sono ignorante e allora non posso candidarmi?”. C’è confusione tra possesso di competenze specifiche e radicamento in una cultura politica. Ma questo è anche il vulnus che ha segnato il fallimento del progetto originario del Cinque Stelle: una classe dirigente priva di un’identità definita che per restare nel sistema di potere tradizionale si è posizionata in favore di vento lasciandosi guidare da flussi di forza esterni al Movimento. Benché lo abbia negato in premessa, Davide Casaleggio deve arrendersi all’evidenza di una rottura insanabile tra il suo gruppo e il movimento-partito dei Cinque Stelle che oggi si riposiziona verso punti di riferimento diversi dalla piattaforma Rousseau. Al riguardo, Enrica Sabatini lascia una porta aperta alla riconciliazione.

Posto che l’Associazione e Casaleggio non potrebbero limitarsi a essere voci nell’Elenco fornitori del Movimento, la soluzione è una partnership su un percorso condiviso. Ma è pensabile che una formazione affidatasi all’intervento salvifico dell’uomo della Provvidenza, Giuseppe Conte, possa contestualmente accettare una subalternità decisionale a un’intelligenza collettiva autonoma che fluisce sulla Rete in luoghi virtuali, in forme aliene rispetto alle dinamiche della rappresentanza politica e in tempi di comunicazione imprevedibili? Certo che no.

L’evento di mercoledì è stato l’inizio di qualcosa di nuovo che taglia i ponti con il passato. Se dovessimo scommettere su chi tra le due anime divise dell’universo pentastellato avrà un futuro, punteremmo su Casaleggio. Il movimento grillino vive sul piano fenomenico. A Casaleggio e soci, anche se dovessero mancare truppe e scranni parlamentari su cui contare, resterebbe la conoscenza di una metodologia d’implementazione delle idee. E ciò, dal punto di vista della storia dei grandi rivolgimenti sociali, conta molto di più del semplice possesso di una generica idea di futuro impreziosita da qualche poltrona ministeriale.

Aggiornato il 12 marzo 2021 alle ore 10:03