Reciproci sospetti tra politici e giudici

venerdì 5 marzo 2021


Nota a margine

Carlo Nordio, un ex magistrato di genuino sentire liberale, ha dichiarato che Mario Draghi, in quanto tale, non corre alcun rischio di subire iniziative giudiziarie perché è così al di sopra di ogni sospetto che azioni del genere contro di lui sarebbero un boomerang, due volte, perché ne aumenterebbe la popolarità e accentuerebbe il già notevole discredito della magistratura. Di che rischio si tratterebbe? Se il presidente del Consiglio facesse sul serio e mettesse mano davvero alla riforma della giustizia, la magistratura potrebbe considerarlo un affronto da lavare promuovendogli contro l’azione penale.

Augusto Minzolini, un brillante cronista parlamentare, ha paventato il riaccendersi delle attenzioni dei magistrati su Silvio Berlusconi per il fatto che hanno ripreso a circolare le voci di una sua candidatura al Quirinale. Così, per azzopparlo prima che inizi a correre, certe fazioni antiberlusconiane starebbero affilando il codice penale per tagliargli le gambe un’ultima volta.

Nordio e Minzolini sono persone autorevoli nel loro campo. Quello che pensano e dicono di due presidenti del Consiglio, l’uno appena entrato in carica, l’altro vecchio della carica, con riguardo ad interventi della magistratura, non può essere considerato alla stregua di un semplice esercizio dialettico. Berlusconi e Draghi vengono “attenzionati” dai due commentatori per escludere o per supporre l’attenzione dalla magistratura. Il fatto in sé è particolarmente significativo. Rappresenta la superfetazione del Tempio della Giustizia, specialmente dei modi, mezzi e fini della giurisdizione penale. Nonché dei rapporti tra politici e giudici, e di ciò che possono pensarne i cittadini, per di più qualificati come Nordio e Minzolini. Sospetti certi e certezze sospettose: l’origine di entrambi costituisce uno dei più sconcertanti caratteri dell’ultima storia nazionale. A tanto bisogna acconciarsi per far luce sulle disfunzioni e provare a districarne gl’intrecci. Invece il Parlamento e la magistratura dovrebbero finalmente considerarsi reciprocamente con attenzione e rispetto, cooperando anziché confliggendo, se intendono preservare il carattere liberale delle funzioni esercitate. La parola “potere” suona diversa alle orecchie dei parlamentari e dei magistrati. Il Parlamento è un potere. La magistratura non lo è. I magistrati hanno poteri, definiti dalla Costituzione e derivanti dalle leggi che i parlamentari fanno.

C’è qualcosa di perverso nel sistema istituzionale e nel cuore delle persone che indulgono a compiacersi di poter comandare sui magistrati chiamati a giudicarle e di poter giudicare (con malanimo antigiuridico, non “de iure”) parlamentari e governanti per impedir loro di acquisire e conservare le cariche. L’uso obliquo della funzione giurisdizionale, segnatamente penale, è un tale obbrobrio che dovrebbe ripugnare soprattutto ai magistrati piuttosto che servire loro a terrorizzare i politici o ingenerarne il timore.


di Pietro Di Muccio de Quattro