Governo Draghi: più incognite che certezze

Tutti pazzi per Mario Draghi. Perché stupirsi? Lui è indiscutibilmente un alto profilo, di banchiere. Non è Mario Monti, come ha spiegato il mitico Giulio Sapelli interpellato da Il Giornale di Alessandro Sallusti. Ma ciò non ne fa un santo, e ancor meno un messia, a prescindere. È stato chiamato dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, a salvare l’Italia. Stiamo ricascando nella narrazione dell’uomo della Provvidenza? Il nostro Paese ha molte cose che non vanno per il verso giusto, ma possiede grandi potenzialità che se messe a frutto nel modo giusto e, soprattutto, se non osteggiate da un sistema burocratico tanto ottuso quanto asfissiante, possono spingerlo fuori dalla crisi. Non di un messia c’è bisogno, la cui petulante evocazione peraltro incentiverebbe bizzarre fantasie su digressioni autoritarie, ma di un facilitatore dei processi di interazione sociale ed economica all’interno della comunità nazionale.

Mario Draghi è l’uomo giusto per questa missione? Dipende. Non è risorsa che viene dai ranghi del ceto politico e ciò, per quanto suoni paradossale, è un limite. Tuttavia, è uomo di pregio con un’eccellente capacità di lettura dei contesti nei quali è stato chiamato a operare e con una discreta propensione al dialogo con gli attori sociali. E poi, come sostiene Sapelli, rappresenta l’espressione più pura del capitalismo americano che ce lo rende assai più simpatico del filo-tedesco Monti. Benché non sia nato professionalmente politico ha i numeri, e il necessario pragmatismo, per imparare rapidamente il mestiere. Ma perché sperare che il neofita faccia in fretta ad apprenderne l’arte? Per un principio di precauzione, dal quale dipende il successo della sua avventura. Il neo-incaricato non ha avuto il tempo dei saluti di prassi con le alte cariche dello Stato che già le volpi del Partito Democratico hanno provato a fagocitarlo. Ci vuole tutta l’arroganza della solita sinistra nel pretendere che il Governo di “alto profilo” chiesto da Sergio Mattarella parta dalla cooptazione del grosso della pattuglia dei ministri piddini presenti nel Conte bis. Ma come? Si sono autoaffondati mostrando il peggio della politica politicante, hanno fatto disastri sul fronte della pandemia, hanno ridotto mezzo Paese alla fame con le loro scelte sbagliate, e sono ancora lì, con uno striminzito 11 per cento di senatori e un 14,7 per cento di deputati a pretendere di succedere a se stessi? Non è che solo la pazienza abbia un limite, anche la decenza.

Mario Draghi dovrà essere molto accorto ad agire in totale discontinuità con il recente passato evitando di farsi intrappolare in un “Conte ter” senza Giuseppe Conte. Ma c’è di più. La dirigenza del Partito Democratico riscopre le taumaturgiche virtù del bipolarismo. Il primo obiettivo strategico di questa fase punta a stabilizzare l’alleanza organica con il Movimento Cinque Stelle. I grillini, dal canto loro, sono frastornati. Il suicidio politico di Giuseppe Conte è un lutto che non può essere elaborato in fretta. Devono riprendersi dallo shock. Ma quand’anche ciò accadesse in tempo per stringere d’assedio il premier incaricato, resterebbe la difficoltà di ingoiare il rospo Draghi. Nell’immaginario grillino, l’ex governatore della Banca centrale europea ha simboleggiato l’incarnazione del male assoluto. Alessandro Di Battista ha pubblicato sul sito d’informazione on-line “Tpi.it” un ragionato articolo sul perché i Cinque Stelle debbano dire no a Draghi. Non si tratta di argomentazioni leggere. Di Battista scomoda la memoria del compianto Francesco Cossiga per dire che “non si può nominare presidente del Consiglio dei ministri chi è stato socio della Goldman Sachs, grande banca d’affari americana”. Non proprio un benvenuto per un personaggio accusato di essere stato il liquidatore a prezzi di svendita dell’industria pubblica italiana quando era direttore generale del Tesoro. Vaticina Di Battista, sulla scia di Cossiga, “immaginate cosa farebbe da presidente del Consiglio dei ministri. Svenderebbe quel che rimane. Finmeccanica, l’Enel, l’Eni”.

Non sappiamo quanto sia stato contento Draghi di vedersi descritto da un potenziale partner di governo alla stregua di un Butch Cassidy redivivo. Ma, a confutazione di un luogo comune, il tempo non è galantuomo quando c’è di mezzo il Partito Democratico. I “responsabili” del Nazareno che, per statuto, corrono sempre in soccorso dei vincitori, sono all’opera per convincere gli smarriti alleati. Ed è presumibile che vi riescano, perché hanno un drappo rosso da sventolare davanti agli occhi dell’imbufalito Movimento grillino, “se non lo facciamo noi, ci penserà la destra a mettere cappello sul Governo Draghi”. Questo è ciò che passa il convento dei miopi: tatticismi di bottega per portare a casa il medesimo potere presidiato fino a qualche giorno fa. Viene da chiedersi se a qualcuno importi qualcosa di quale idea abbia Draghi per reggere la sfida di Palazzo Chigi. Il Draghi-pensiero sulla crisi è contenuto nell’articolo-manifesto pubblicato dal Financial Times il 25 marzo 2020. Si tratta di una ricetta importante per sconfiggere le conseguenze della pandemia. Con i dovuti adattamenti potrebbe essere lo scheletro del programma politico del suo governo. L’ex governatore della Bce ritiene che la depressione sociale, sanitaria ed economica provocata dal Covid sia del tutto simile agli effetti prodotti da una guerra di estese dimensioni. Ciò premesso, Draghi formula due postulati da cui far discendere la soluzione del problema: 1. La reazione alla profonda recessione indotta dalla crisi per il Covid deve comportare un aumento significativo del debito pubblico; 2. “È compito dello Stato utilizzare il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l’economia da shock di cui il settore privato non è responsabile e non può assorbire”.

La strada per la ripresa passa obbligatoriamente per la difesa dell’esistente che, tradotto, vuol dire orientare l’intervento pubblico a monte del problema e non a valle. Per essere chiari, la controffensiva per tirare fuori segmenti di popolazione dalla povertà e riavviare la ripresa economica non si realizza impegnando risorse in deficit nel sostegno al reddito di coloro che perdono il lavoro ma aiutando le imprese perché non attuino i licenziamenti. Draghi chiama in gioco il sistema finanziario nel suo complesso, con le banche in prima fila, per determinare una poderosa immissione di liquidità nel circuito economico. Nell’articolo è detto testualmente: “L’unico modo efficace per entrare immediatamente in ogni crack dell’economia è mobilitare completamente i loro interi sistemi finanziari: mercati obbligazionari, principalmente per grandi società, sistemi bancari per tutti gli altri. E va fatto subito, evitando ritardi burocratici. Le banche in particolare si estendono a tutta l’economia e possono creare denaro istantaneamente consentendo scoperti di conto o aprendo linee di credito”. La si potrebbe classificare posizione da destra sociale. Ora, se l’autore di queste parole è lo stesso Mario Draghi che si appresta a giurare da presidente del Consiglio assisteremo all’ennesima capitolazione dei grillini che saranno chiamati a votare l’esatto contrario di ciò che hanno sbandierato come il loro maggior successo: il reddito di cittadinanza. Ma la débâcle dei principali azionisti del “Conte bis” provoca contraccolpi nello schieramento avversario incidendo sulla condotta unitaria della coalizione di centrodestra circa il sostegno o meno al Governo Draghi. Bisognerà riparlarne perché l’ipotesi di procedere in ordine sparso del trio Silvio Berlusconi-Matteo Salvini-Giorgia Meloni potrebbe rivelarsi una brutta pietra d’inciampo per il futuro della coalizione. E, com’è noto, di questi tempi i gesti di autolesionismo sono più diffusi di quanti si immagini.

Aggiornato il 05 febbraio 2021 alle ore 09:23