Ma cos’è che vuole Renzi?

Dal momento in cui la crisi di governo è deflagrata, con le dimissioni delle ministre di Italia Viva, Teresa Bellanova ed Elena Bonetti e del sottosegretario di Stato agli Affari esteri, Ivan Scalfarotto, nei palazzi della politica ci si domanda: ma perché Matteo Renzi l’ha fatto? A uno sguardo disattento sembrerebbe a dir poco anomalo il comportamento da kamikaze del leader di Italia Viva. In assenza di una pur necessaria obiettività nel valutare lo scenario complessivo e, ancor più, lo stato reale del Paese devastato dagli effetti economici, sociali e sanitari della pandemia, gli opinionisti dei più accorsati media fanno ricorso a teorie strampalate sul narcisismo del protagonista, sul troppo testosterone presente nei testicoli dei duellanti e su altre amenità del medesimo tenore. Ma non è con la psicanalisi o con la patologia clinica che si può spiegare ciò a cui abbiamo assistito ieri l’altro. Per quanto si disistimi la persona di Matteo Renzi bisogna riconoscere che ha la stoffa fine del politicante di razza. Astuto, cinico, infido, urticante ma con un gran fiuto per le opportunità.

Il “Rottamatore” dei tempi migliori è tornato in azione, come in un fantastico “Batman returns”, per riconquistare una centralità sulla scena politica, mestamente smarrita. Se proprio si volesse associare idealmente il gesto renziano di abbattere il Conte bis a un capolavoro letterario, bisognerebbe rifarsi al Frankenstein di Mary Shelley. Come nel romanzo, la mostruosa Creatura/Giuseppe Conte ritorce la sua demoniaca natura contro il Creatore/Renzi che, a sua volta, per realizzare l’opera sovrumana ha sfidato le leggi divine (della decenza politica). La pretesa sovranità del Creatore sulla mostruosa Creatura viene rovesciata diventando lui, da padrone, il servo di ciò che ha creato. La sola condizione per sottrarsi all’infausto destino è di pagarne il prezzo con ciò che egli stesso aveva donato: la vita (politica). Il Conte bis è nato da una spericolata acrobazia tatticista di Matteo Renzi. Con lo scorrere del tempo colui che avrebbe dovuto dipendere totalmente dalla volontà del suo creatore/salvatore ha cominciato a fare da solo. Il Conte ingrato ha repentinamente dimenticato chi nell’estate del 2019, quella del Papeete, lo ha lasciato in sella a Palazzo Chigi, a dispetto di ogni logica di buonsenso e della volontà dei dirigenti del Partito Democratico che fondatamente interpretavano la sua uscita di scena come un segnale forte di discontinuità rispetto al precedente Governo di marca penta-leghista. E ci ha provato gusto. Giuseppe Conte si è ritagliato un ruolo personale nei rapporti con i leader europei che contano e conquistato una protezione Oltreoceano, presso l’amministrazione di Washington, tutt’altro che irrilevante; non ha avuto scrupoli a intestarsi i risultati ottenuti dall’azione di governo, evitando con destrezza di caricarsi gli errori e i fallimenti collezionati. Ha dismesso l’abito (scomodo) dell’esecutore di ordini, indossato durante l’esperienza del Conte I a trazione penta-leghista, per vestire quello più confortevole e gratificante dell’uomo-solo-al-comando.

L’avvento della pandemia lo ha aiutato a rafforzare l’immagine che ha costruito di sé, cioè di fulcro insostituibile della politica italiana. Renzi, dal canto suo, si è ritrovato ad assumere, nell’immaginario collettivo, la fetta più grossa di responsabilità per essere stato il creatore della mostruosa Creatura senza ricevere in cambio un dividendo politico soddisfacente. Per tenere il punto sulla bontà della sua intuizione, il “Rottamatore” ha dovuto mandare giù rospi incommestibili, come accettare la presenza di Alfonso Bonafede, un giustizialista dalla mediocre caratura intellettuale, al vertice del ministero della Giustizia. Per soprapprezzo, si è accorto di essersi sacrificato a scuotere l’albero del potere perché altri, in particolare gli ex compagni di strada del Partito Democratico, ne cogliessero i frutti migliori. Anche l’operazione Italia Viva, nata per drenare consensi al Partito Democratico, si poteva considerare abortita a stare ai sondaggi che la condannano a vita grama in caso di ritorno anticipato alle urne. In questa cornice occorreva inserire un meccanismo che capovolgesse un quadro altrimenti negativo. Insomma, una mossa del cavallo, dalla cui potenza allegorica Renzi è suggestionato al punto da averne fatto il titolo di un libro, che scompaginasse uno scenario totalmente compromesso per le sue personali ambizioni.

Trovare gli argomenti di merito per motivare la rottura è stato facile. Troppi i ritardi e troppe le scelte sbagliate messi insieme dal Conte bis. Dal mancato accesso al finanziamento del Mes sanitario, allo stop alla riapertura dei cantieri per il completamento delle opere pubbliche, alla non decisione sulle concessioni autostradali ai Benetton, allo stallo sull’implementazione dell’alta velocità ferroviaria, a cominciare dall’annosa questione della Torino-Lione. E quella misteriosa impuntatura sul non cedere la delega ai Servizi segreti. Poi, la valanga di sbagli e contraddizioni nella gestione della pandemia. Per non dire della volontà accentratrice, ai limiti del vulnus democratico, manifestata con intensità crescente dalla mostruosa Creatura/Giuseppe Conte. C’è stato solo l’imbarazzo della scelta di quali accuse portare all’attenzione dell’opinione pubblica in conferenza stampa. D’ora in avanti cosa accadrà? Difficile essere certi perché si viaggia in terra incognita. Il mainstream del politicamente corretto batte il tasto dell’obbligatorietà della ricomposizione della frattura per non consegnare il Paese alla destra, come se ciò fosse peggio di una catastrofe apocalittica. Tuttavia, è nostra opinione che l’interesse di Renzi non sia affatto quello di ricucire. La sua strategia, che ruota attorno all’incrollabile certezza che non si tornerà a votare nel breve termine, tende a spingere Conte e la sua residua maggioranza sul piano inclinato della richiesta di soccorso, in Parlamento, ai cosiddetti “responsabili”, cioè a quei deputati e senatori, senza Patria e senza bandiera, il cui unico interesse è di mantenere i previlegi di status il più a lungo possibile. Ma un governo che si tiene con gli spilli dei viet-minh del redivivo generale Võ Nguyên Giáp/Clemente Mastella è destinato a vivacchiare attirando su di sé il maggiore discredito possibile.

Renzi ha deciso che è meglio stare all’opposizione e sparare a palle incatenate sul “Conte bis-plus” piuttosto che lasciarsi macerare in una lenta agonia. Un paio di risultati il senatore di Scandicci, comunque, li ha messi all’incasso. Il primo. Agli occhi sospettosi del neo-presidente democratico degli Stati Uniti, Joe Biden, s’intesta il merito di essersi proposto da killer politico dell’amico di Donald Trump in Europa. Il secondo. Liberandosi dall’abbraccio mortale dei Cinque Stelle e del Pd, può pensare di dare le carte nell’ormai prossima partita dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Già, perché in una sostanziale parità di voti tra i due schieramenti contrapposti, di centrosinistra e centrodestra, la piccola pattuglia di Italia Viva sarà decisiva nel far pendere il piatto della bilancia da un lato o dall’altro. Per Renzi, essere il king maker del prossimo capo dello Stato potrà rivelarsi la chiave per ridisegnare un quadro politico più favorevole alla sua permanenza sulla scena, prima che si torni alle urne alla scadenza naturale della legislatura nel 2023. Se, al momento, Giuseppe Conte per restare a galla ha una strada obbligata da percorrere, che è quella di provare a “resistere, resistere, resistere!” grazie al soccorso delle truppe “mastellate”, allo stagionato senatore di Scandicci restano almeno due buone frecce all’arco: o Conte cade e si va a un governo istituzionale che lo escluda, oppure Conte la sfanga per il rotto della cuffia e Italia Viva va serenamente a ripulirsi l’immagine nei lavacri dell’opposizione, la quale nelle condizioni date anche se non fa nulla guadagna consensi. Comunque vada, Renzi vince. A patto però che non si torni a votare in primavera. Perché per la sua smisurata ambizione sarebbe come fare 22 punti al blackjack: perde tutta la giocata e resta in braghe di tela. A quel punto non gli rimarrebbe che accontentarsi dell’eterna giustificazione autoassolutoria, tipica dei ludopatici, frequentatori di casinò: però mi sono divertito.

Aggiornato il 18 gennaio 2021 alle ore 09:28