I negazionisti sono al Governo

martedì 12 gennaio 2021


Il Coronavirus/Covid-19 è una seria malattia e solo come tale avrebbe dovuto ed essere trattata, utilizzando al meglio la scienza in tutte le sue specializzazioni, mediche, biofisiche e statistiche, mentre non è un castigo per i nostri peccati, bisognoso di censori o esorcisti e non può neanche diventare uno strumento per politici ideologizzati, che guardino con antica diffidenza e fastidio alla democrazia e alla Libertà. Molti governi, ma soprattutto il nostro, spinti dal panico e dall’emulazione, in luogo di trattarla unicamente come malattia, hanno però assunto pure un atteggiamento pseudo moralistico, ritenendo che si potesse affrontare il Covid facendo leva sulle “virtù civiche” dei cittadini, cambiandone insomma i comportamenti, invece di procedere soprattutto, con la massima velocità, a cercare e predisporre le necessarie cure mediche. Alcuni governi, ma ben poco il nostro, hanno investito massicciamente in ricerca di vaccini e antivirali specifici con finanziamenti a fondo perduto, alcuni governi, ma ben poco il nostro, hanno aumentato significativamente i reparti di terapia intensiva, alcuni governi, un po’ meno il nostro, hanno assicurato tempestivamente (e cioè anche ben prima della loro certificazione ) sufficienti scorte, strutture e tecnici per procedere appena possibile a cure e vaccinazioni di massa in tempi veramente rapidi.

Molti governi però e per primo il nostro, colti di sorpresa dalla veloce diffusione di un virus nuovo che non si sapeva come trattare, hanno ceduto alla retorica del “fate qualcosa” a tutti i costi, qualunque cosa, anche la più dubbia e contestabile, per far pensare comunque ai cittadini elettori che stavano reagendo in maniera decisa. E così si è proceduto, con un generale processo imitativo, ma in primis da noi, alla segregazione forzata degli abitanti, obbligati da provvedimenti amministrativi e di polizia a restringere gli spostamenti, a permanere in spazi chiusi, ad arrestare svaghi e lavoro. Si è insomma proceduto ad una forzata quarantena generalizzata, mai tentata prima su questa scala, contro un’epidemia non batterica e concentrata, ma virale e delocalizzata. I risultati dei provvedimenti governativi hanno ovviamente provocato, per la loro ampiezza, uno stato di gravissima crisi economica, per il rallentamento del commercio internazionale, la diminuzione della produzione industriale e la perdita di fiducia dei mercati, crisi che ha assunto aspetti di vero e proprio crollo nei settori del turismo (per noi importantissimo), dei trasporti, del piccolo commercio e dello sport, con conseguente immediato e grave deterioramento per l’occupazione, cui si è cercato di dare rimedio vietando i licenziamenti per un tempo via via prolungato (che è un po’ come chiudere i cimiteri pensando così di abolire la morte) senza pensare che ciò può portare all’unico risultato di una serie di fallimenti generalizzati.

Si è poi enormemente aumentato il già colossale indebitamento dello Stato, per dare qualche soldo ai disagiati in luogo di posti di lavoro, avviando con superficialità l’economia del nostro Paese lungo una via Venezuelana, alla fine della quale non ci potrebbero essere che gli stessi effetti, disperazione e miseria. Si è infine vagheggiato di colpire, più di quanto già non siano. Perfino il risparmio e la proprietà privata, che, ad oggi, sono ancora l’unica e sola garanzia di credibilità e tenuta del nostro sistema economico. Si è giustificato tutto ciò, ripetendo continuamente che la vita umana è più importante di tutto, affermazione sulla quale ognuno non può che concordare, ma, si può dire che per questa strada tale risultato sia stato ottenuto? Purtroppo non pare. Se la segregazione su vasta scala fosse in grado di arrestare o almeno rallentare significativamente una pandemia, che è, ripetiamolo, virale, dovremmo vedere una chiara correlazione tra durezza e durata delle chiusure e diminuzione percentuale delle vittime, una chiara differenza tra Paesi che hanno chiuso tutto, che hanno chiuso poco o non hanno chiuso affatto, come pure sull’uso generalizzato o meno delle mascherine. Ma questa correlazione, nel mondo, non pare affatto essere realmente evidente. In Europa i sei Paesi che hanno percentualmente avuto più contagiati e vittime sono Italia, Spagna, Gran Bretagna, Francia, Belgio e Repubblica Ceca, che sono però tra quelli che nel corso della pandemia hanno preso, fin quasi dal principio, le misure di contenimento più drastiche, più ad esempio della Germania che inizialmente lasciò più libertà negli spazi aperti o della Svezia che non chiuse per niente. È innegabile che, se non si entra in contatto con un contagiato, non c’è contagio, ma la domanda è se questo sia realmente evitabile su vasta scala e non possiamo non porcela, se non vediamo chiare correlazioni, come quella, invece evidente e tipica delle malattie respiratorie e del Covid, tra periodo estivo e periodo invernale. Tutte le necessarie tecniche statistiche, per conoscere realmente la situazione epidemiologica dal punto di vista generale, sono state poi falsate dalla mancanza di uniformi protocolli per conteggiare le perdite da attribuire realmente al coronavirus con gli stessi criteri, non si è proceduto, almeno in Italia, a ricerca del virus non solamente nelle categorie a rischio o con sintomi evidenti, ma a campionatura ripetuta, per avere una stima più precisa del rapporto asintomatici/sintomatici.

Insomma, si è perduto un sacco di tempo per arrivare ad avere una più precisa idea dei fattori che connotano una pandemia: la sua diffusione, la sua contagiosità, la sua morbilità e la sua mortalità, per poter confrontare i rischi reali del nuovo virus con le epidemie virali del recente passato (dalle influenze come l’asiatica, all’H1N1) e predisporre rimedi più mirati per contenerla e curarla razionalmente. Non si è poi tenuto in debito conto che gli spazi chiusi sono molto più propizi al contagio dei luoghi aperti (realtà intuitiva, ma confermata da recentissime misurazioni Arpa sulla presenza in aria del virus). Si sono bruciate montagne di quattrini presi a debito in piccole e inefficaci regalie assistenziali, ma senza un vero schema logico, l’Italia ha speso pochissimo, in proporzione, per accelerare lo studio di cure assumendosi una maggior parte dei rischi industriali della ricerca farmaceutica, cosa che, ad esempio, il pur contestato Donald Trump ha invece fatto, non si è proceduto a monte per sgravare le aziende che, producendo ricchezza, danno lavoro continuativo, ma solo a valle per aiutare, a debito e bruciando ricchezza, i lavoratori e quindi per un periodo inevitabilmente limitato. Sul fronte medico, le tante polemiche che hanno diviso i virologi, amplificate dai media, derivano dal fatto che le differenti opinioni degli esperti, erano e in parte ancora sono, appunto, opinioni, dato che solo il vaglio ragionato dei dati e dei processi, col tempo arriverà a conclusioni scientifiche consolidate. Così si è scelta la via più semplicistica e brutale, più inefficace e assistenziale, più burocratica e poliziesca, per far vedere, con gran clamore di trombe, che “si faceva qualcosa”. E così si è proceduto ad una segregazione di massa di cittadini incolpevoli ridotti allo stato di assoggettati, se non proprio di prigionieri. Di fronte a tutto ciò, la pandemia non ha mostrato però segni di reale sensibilità, l’andamento dei contagi nel mondo, dal Giappone all’America (astraendo dalla Cina, di cui in realtà non sappiamo realmente quasi niente, quando e come è cominciata, quando l’hanno scoperta, quante reali vittime, come ha agito la polizia, da quanto hanno delle cure) non mostra fin qui una chiara dipendenza dalle politiche di contenimento, sembra piuttosto una distribuzione stocastica aleatoria e poco prevedibile, come se – ed è questo il punto – i fatti ci dicessero che le vie di questo contagio virale siano troppe per poterle realmente chiudere. Se davvero fosse così avremmo allora vanamente cercato di vuotare il mare con un cucchiaio, sprecando le energie e la vita di milioni di persone, ma, anche in questo caso, i responsabili delle scelte politiche ben difficilmente saranno disposti ad ammetterlo, tale è stato lo sconvolgimento della vita dei cittadini e la distruzione di risorse, che preferiranno nascondersi dietro il “ma così han fatto tutti” e magari additare coloro che hanno dubbi, come pericolosi untori e nemici del popolo, secondo una vecchia tradizione sovietica ormai arrivata anche in occidente.  Per nostra fortuna, nei laboratori, nelle università e nelle aziende farmaceutiche, ci sono stati biochimici che, con scienza e coscienza, hanno lavorato, chini sui loro strumenti, per trovare dei reali rimedi, altrimenti cosa avremmo fatto, per non violare il tabù del rifiuto dell’obbligata convivenza col virus (come di tutti quelli che l’hanno preceduto e lo seguiranno) saremmo rimasti in lockdown per sempre?

Tabella vittime Coronavirus in rapporto alla popolazione

 

Prime nazioni – Italia quarta, prima tra le grandi – per morti in rapporto alla popolazione

  

 Nazione    contagi     morti      %      morti/popolaz.%   Nazione       contagi     morti    %   morti/popolaz.%


 Fonte: Johns  Hopkins University 19 dicembre 2020 

Intendiamoci bene, anche un solo caso di contagio evitato sarebbe una buona cosa se fosse a rischio zero, il che però non è assolutamente, anzi, se qualcuno si prendesse la briga di considerare le vittime, dirette e indirette, della chiusura economica e i miliardi bruciati dallo stop alla produzione, mancanti poi per il potenziamento delle strutture sanitarie e delle terapie intensive, con conseguente rinvio in Italia, per la precedenza Covid, di centinaia di migliaia di esami cancerologici, oltre che della cura di tutte le altre patologie (quanti morti in più per cure tardive del cancro ? E quanti per lo stress e la disperazione della disoccupazione o del fallimento?) se qualcuno riflettesse sull’indebitamento massiccio che condizionerà non solo il presente, ma anche il futuro di tutti e sugli sprechi a pioggia di quei quattrini in mille rivoli assurdi (quando non anche pericolosi come i monopattini) potrebbe, anzi dovrebbe, porsi il problema se la politica della segregazione sia stata una cosa saggia o invece un vero, pur se diffuso, grave errore. E questo senza considerare i danni enormi inflitti alla democrazia, al diritto e alla libertà. Soprattutto in Italia. Alla democrazia, perché si sono rinviate delle elezioni, vietate le riunioni di cittadini e partiti, intralciati i lavori parlamentari, condizionati i dibattiti; al diritto perché si sono sospesi diritti costituzionali con leggi ordinarie o, peggio, con semplici decreti amministrativi; alla Libertà perché oggi tutti scopriamo che le nostre più sacre libertà personali, di lavoro, di relazioni, di circolazione, di affetti, non sono più diritti innati e costituzionalmente garantiti, ma ormai semplici “concessioni revocabili” da parte di un governo qualsiasi. Le forze politiche di diversa estrazione hanno reagito in maniera differente nei vari Paesi, ma, in generale, le formazioni di centrodestra si sono dimostrate più liberali e più dubbiose sulle estese segregazioni, di quelle di centrosinistra, che, anzi, sui pregiudizi “no big pharma” e sulla antica convinzione della assoluta prevalenza dei poteri pubblici (e soprattutto di un ben minore riconoscimento di valore alla libertà individuale) hanno mostrato una  maggiore insistenza nel perseguire chiusure totali o semi totali, dando  interpretazioni delle necessità di contenimento, che sono talvolta quasi sembrate come deformate da una ideologia cieca dell’obbedienza “sempre e comunque” come prima virtù civica, tale da ricordare, specie in Italia, le ideologie autoritarie e statolatre.

Il mantra, ripetuto continuamente, del “rispetto delle regole” senza quasi mai aggiungere però che esse devono essere ragionevoli, giuste e prese legittimamente (con leggi e decreti votati dal Parlamento, firmati dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e rispettosi della Costituzione) per la sua ossessività, fa venire in mente un delizioso film tedesco della fine degli anni 20, cioè dell’unico periodo di scapigliatura della Germania del Novecento. Nel film, dell’epoca di Weimar appena post Guglielmina, si narrava di un impiegato della poste, che, subito un torto, dava di testa e, indossata la sua più bella divisa da funzionario (a quei tempi in Germania tutti ne avevano una ) si metteva ad incolonnare la gente per la strada e, scambiato per un alto generale per l’uniforme e il piglio da matto, riusciva, in quella società psicologicamente militarizzata, a far marciare inutilmente, inquadrata sulla Unter den Linden e nelle altre strade, tutta la popolazione di Berlino. Era una bella satira dell’abitudine all’obbedienza automatica, instillata per decenni dallo Stato prussiano, un abito mentale di cui si sarebbe poi servito, per altri scopi il cancelliere nazional-socialista. L’obbedienza assoluta non può essere un valore in sé, neanche verso un’autorità riconosciuta, occorre che vi siano leggi e regolamenti rispettosi, anche proceduralmente, delle Costituzioni e ancor prima dei diritti naturali inalienabili e innati. Altrimenti, se ci si pensa, anche il processo di Norimberga non avrebbe mai potuto essere celebrato. Forse una rilettura di Henry David Thoreau e della sua Disobbidienza Civile sarebbe utile.

Un discorso a sé, merita il tema, un po’ confuso, del dibattito sui vaccini, dove si va dall’irrazionalismo dei no vax ideologici pregiudizialmente antiscientifici (torneremo a indovini e fattucchiere?) alla diffidenza disinformata degli attendisti che chiedono prima il rischio zero assoluto (il rischio zero non esiste in natura, ma possiamo certo dire che è probabilisticamente molto più pericoloso non vaccinarsi che vaccinarsi, sia per sé che per gli altri) fino a coloro che sono contrari alla vaccinazione se obbligatoria. È strana questa posizione, perché si vedono più resistenze al vaccino obbligatorio di quelle che si siano viste sulla segregazione coatta, sembra che si trovi più tollerabile una privazione continuativa delle libertà fondamentali e del benessere per una politica di contenimento dall’esito molto dubbio e ad alto rischio, di una in fondo rapida iniezione, probabilmente risolutiva e a rischio realmente basso. È incomprensibile, almeno razionalmente. Nel panorama di un mondo generalmente mal diretto, con classi dirigenti che non appaiono in grado di ben governare i nuovi fenomeni indotti dalla tecnica, né sul piano dell’economia, né su quello della democrazia o dell’informazione realmente libera, il nostro Paese occupa però una posizione particolare. L’Italia, infatti, è tra le prime grandi nazioni per numero di vittime da Covid, per calo del Pil, per chiusura delle scuole, per confusione delle norme, per violazioni allo Stato di diritto, per livello di sfiducia e per finire quella che rischierà di più quando la Banca centrale europea (Bce) dovrà per forza rallentare, se non arrestare, l’acquisto indiscriminato di titoli dei debiti pubblici. E questo pessimo primato non può non far riflettere, che, sia pure in un panorama internazionale sconfortante, noi abbiamo oggi il più autoritario, incompetente e inetto Governo dell’intera storia Repubblicana. Al di là dei timorosi che, nella maggioranza, vorrebbero cambiare, resta il fatto che i negazionisti sono al governo, negazionisti della natura di malattia del Covid, negazionisti della democrazia e, quel ch’è peggio, della Libertà.


di Giuseppe Basini