Nota a margine: il prezzo della liberazione dei pescatori

sabato 19 dicembre 2020


Lo scorso 16 dicembre concludevamo qui l’articolo sulla dignità dell’Italia scrivendo che diplomazia e forza vanno a braccetto negli Stati seri, e che pagare il pizzo ai governi mafiosi non conviene. Il sequestro di persona a scopo di estorsione è un reato gravissimo, specie se le persone sono più d’una e il sequestratore è un capo di governo sebbene scalcinato quanto rifiutato dalla comunità internazionale. A fronte di queste ovvie verità dobbiamo oggi constatare che il Governo italiano, impersonato dal presidente del Consiglio e dal ministro degli Esteri, è volato improvvisamente a baciare la pantofola, pardon gli stivali, al generale sequestratore per ottenerne la liberazione dei nostri pescatori. Noi, mentre siamo felici della loro riconquistata libertà, non desideriamo tuttavia associarci al coro degli “evirati cantori” che hanno magnificato l’operazione di salvataggio come un successo governativo e nazionale addirittura. Non era mai accaduto che il Governo della Repubblica, in carne ed ossa, andasse a ritirare gli ostaggi a casa dei sequestratori e vi prendesse il the come un ospite di riguardo. Non era mai accaduto. Mai.

Aggiungevo, in quell’articolo, che siamo governati da chi sappiamo e siamo il popolo che siamo. Ne abbiamo avuto la conferma. Siamo circondati da indignati in servizio permanente contro una presunta trattativa tra funzionari statali e capimafia per ottenerne la tregua delle stragi. Però questi indignati non ci hanno dato la sensazione di essere orripilati di fronte allo spettacolo di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio che sbarcano mesti all’aeroporto di Tobruk. Allo sbarco, non scorgevamo nessun nostro addetto militare, come se i due ineffabili governanti non rappresentassero lo Stato italiano, ma se stessi! Abbiamo letto che l’inopinata visita (di Stato? Di affari? Di cortesia?) dei Due avrebbe dovuto sanare l’affronto di Di Maio consistito nell’aver incontrato, mesi fa, il presidente del Parlamento della Cirenaica anziché il generale Haftar che comanda. Posto che sia stato uno sgarbo diplomatico piuttosto che l’asineria dello sprovveduto parlamentare innalzato (quanti ne hanno colpa!) direttamente dallo stadio alle più alte responsabilità della Repubblica, il ministro degli Esteri va a scusarsi in quel modo e in quel momento, accompagnato pure da un premier così apparso più inesperto del suo ministro?

Resta da appurare, e spero che il Parlamento gliene chieda conto convocandoli, se la squallida Canossa sia stata soltanto la cerimonia di contorno del piatto forte rimasto segreto oppure se sia stata essa stessa il prezzo mediatico pagato per una pubblica lavata di faccia agli aguzzini. I due politici avrebbero partecipato ad una recita mascherati da governanti. Attori mediocri, non statisti.


di Pietro Di Muccio de Quattro