Avvocati: rinuncia sì, condizionamento no

L’avvocatessa Rossana Rovere ha rinunciato alla difesa di Giuseppe Forciniti, accusato dell’omicidio della sua compagna Aurelia Laurenti, spiegando che non se la sente di assumerla, perché lei sta “dall’altra parte”, vale a dire dalla parte delle donne vittime degli uomini violenti, donne da lei spesso difese: e perciò non si sente di saltare il fosso, accettando di difendere gli uomini che siano accusati di tali violenze. Molte polemiche ne sono nate, fra chi difende questa posizione e chi invece la critica. Per quanto mi riguarda, non esprimo nessuna censura verso la Rovere, ma credo debbano esserle mosse alcune critiche. Spiego. Dico nessuna censura per il semplice motivo che nessun avvocato può essere costretto ad assumere la difesa di chicchessia, potendovi liberamente rinunciare per i motivi più diversi, senza che di ciò si possa dubitare o che se ne possa muovere un appunto. Per questo motivo la rinuncia della Rovere si presenta come del tutto legittima.

Tuttavia, occorre notare come, da un’altra prospettiva, ciò che non convince è la motivazione che la Rovere ha addotto per giustificare la propria decisione, vale a dire che lei sta dall’altra parte, da quella delle donne vittime di violenza. Questa motivazione non mi pare convincente, perché sembra che la Rovere si sia a tal punto immedesimata nelle ragioni delle persone da lei assistite, da averne assunto perfino ruolo e fisionomia esistenziale: ed è precisamente questo che le impedisce di difendere Forciniti. Tuttavia, è proprio questo che l’avvocato si deve ben guardare dal fare. Egli non deve mai immedesimarsi a tal segno nelle ragioni della persona legalmente assistita, da farsene poi condizionare o influenzare dal punto di vista umano e professionale, fino a non essere più in grado di assumere la difesa di altre categorie di imputati. Se ciò facesse, inoltre, l’avvocato perderebbe irrimediabilmente il necessario distacco dall’assistito che invece deve mantenere per meglio difenderlo – in sede intellettuale ed emotiva – rendendo così un pessimo servizio proprio a chi intenderebbe assistere. L’avvocato rischierebbe di divenire egli stesso parte, cessando di essere avvocato.

Si badi. La Rovere non ha affermato che non si sente di difendere Forciniti per motivi legati strettamente alla sua persona o alla sua vicenda, cosa che potrebbe ben accadere. La Rovere ha invece asserito che lei è schierata dalla parte delle donne vittime e che perciò mai potrebbe difendere i responsabili di tali atti efferati contro le donne. Ma ciò non deve accadere ad un avvocato, per almeno due buoni motivi. Per un verso, perché non pare avere molto senso schierarsi con delle categorie predeterminate di vittime e contro altre categorie di imputati, come si trattasse di acquistare o di cedere merce all’ingrosso.  Ogni caso giudiziario, infatti, è un caso a sé, diverso da ogni altro, per comportamenti, circostanze, motivazioni, consapevolezza e via dicendo. In sostanza, è del tutto irreale immaginare esistano serie indeterminate di vittime e di responsabili. Esistono, invece, realmente solo esseri umani, alcuni che subiscono la violenza, altri che la infliggono, ma ciascuno con un nome ed un volto unici ed irripetibili. Perciò non ha senso schierarsi con i primi e contro i secondi o viceversa. Per altro verso, va ricordato che mentre le vittime sono sempre note, non lo sono mai – o quasi mai – i responsabili, in quanto ogni imputato è soltanto accusato di un reato, ma che sia colpevole va dimostrato, come afferma il codice penale, “oltre ogni ragionevole dubbio”. Questo il senso della presunzione di non colpevolezza, che ogni giurista deve assumere come irrinunciabile: che l’imputato sia colpevole lo si sa soltanto alla fine del processo, nei suoi vari gradi, e non prima che esso cominci. Perciò schierarsi pregiudizialmente contro i responsabili delle violenze sulle donne non ha senso, semplicemente perché i responsabili si ritroveranno alla fine del processo: prima ci sono soltanto imputati.

Se ne dovrebbe dedurre che la Rovere si schiera contro imputati di certi reati – quelli di violenza sulle donne – e non certo contro chi ne sia colpevole: ma anche questo non ha molto senso, in quanto proprio lei che difende le donne dovrebbe avere molto a cuore che di tali odiosi reati non siano condannati se non i veri colpevoli, mentre gli imputati non lo sono per definizione. Per concludere, va ribadito che non esiste un imputato di pur gravi reati che non meriti di essere difeso, anche se le prove siano palesemente contro di lui: parafrasando ciò che Vladimir Jankélévitch afferma del perdono (cioè che solo l’imperdonabile va davvero perdonato), può dirsi che solo l’indifendibile va davvero difeso. L’avvocato lo sa bene: difendendo anche chi appaia indifendibile, egli riconosce ed afferma non solo il diritto dell’imputato ad esser difeso, ma lo stesso principio di difesa in quanto tale. Egli difende il principio di difesa come il bene più prezioso. Contro ogni pregiudizio, ogni sospetto, ogni ignoranza.

Aggiornato il 01 dicembre 2020 alle ore 09:45