E rimetti a noi i nostri debiti

In questi giorni si fa un gran parlare di cancellazione del debito pubblico. Il presidente del Parlamento europeo, Davide Sassoli, del Partito democratico, ha infatti lanciato la proposta di cancellare quello contratto dagli Stati dell’Unione europea in conseguenza della pandemia e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, del Movimento 5 Stelle, l’ha riportata all’attenzione delle cancellerie internazionali.

Chi sarebbe il creditore che dovrebbe rimettere i debiti? La Banca centrale europea, che a giugno prossimo avrà in pancia circa 700 miliardi di debito italiano. L’ipotesi sarebbe di annullarne tra 150 e 200.

Christine Lagarde, che di quella Banca è presidente, ha reagito con stizza, osservando che l’articolo 123 del Trattato dell’Unione impedisce alla Bce di intervenire direttamente sulle finanze dei singoli Paesi e quindi anche di cancellarne i debiti. Discorso chiuso? Niente affatto. Sassoli l’ha riaperto immediatamente e Fraccaro si è accodato.

La proposta ha luci e ombre. La luce è facile da vedere: se il debito venisse cancellato, l’Italia sarebbe salva. Le ombre sono molte, ma non sono date dall’articolo 123. Come sa anche Lagarde, già in passato è stato interpretato nel senso che la Bce, se non può intervenire direttamente, può farlo indirettamente. E dunque, la cancellazione del debito potrebbe avvenire o rendendolo perpetuo, oppure dando ad esso scadenze secolari, o fornendo moneta fresca alle banche centrali nazionali. Banche che, con gli euro sfornati dalla Bce, potrebbero (ri)comprare i titoli detenuti dalla stessa Bce e poi annullarli. Il Trattato, insomma, come si dice tecnicamente, non vieta la monetizzazione del debito.

Le ombre pertanto stanno altrove e sono politiche. Germania, Francia, Austria, Paesi Bassi sarebbero disposti ad assumersi i rischi della monetizzazione? Considerato che essi, perfino in questi mesi, sono riusciti a rispettare i parametri di indebitamento con la Bce o addirittura a migliorarli, come hanno fatto, proprio, Francia e Austria, perché dovrebbero “premiare” l’Italia che quei parametri li ha sfondati ampiamente senza presentare piani di contrazione della spesa improduttiva interna? Per quale motivo e a fronte di quale vantaggio dovrebbero accollarsi i rischi della cancellazione?

A molti politici nostrani forse sfugge un elemento del ragionamento: monetizzare il debito non è come far sparire il coniglio nel cilindro o pronunciare la formuletta magica “sim sala bim”. Porta con sé rischi molto elevati per quanto riguarda sia l’indebolimento dell’euro su altre valute, con possibili ripercussioni sulle importazioni, sia la spinta inflazionistica e quindi la conseguente perdita di valore della moneta stessa, dei salari, degli asset produttivi, del mercato borsistico.

Non si tratta, qui, di agitare lo spettro del default argentino. Si tratta piuttosto di ragionare seriamente, senza facili slogan. E se ragioniamo seriamente occorre dire che la proposta è un fuor d’opera, tanto improvvida tecnicamente, perché formulata con leggerezza e approssimazione, quanto insostenibile politicamente, almeno oggi.

Le cancellerie, infatti, l’hanno percepita come la solita furbata italica, la solita scorciatoia. Ecco perché Lagarde ha serrato la porta e il governatore della Banca di Francia, Francois Villeroy de Galhau, si è precipitato a dichiarare che “la cancellazione del debito sarebbe una strada molto pericolosa”.

Il piano italiano, allora, deve essere abbandonato definitivamente? No, è possibile che in futuro si possano aprire spazi di discussione, ma ad alcune condizioni, per così dire, minimali: che l’Europa torni a fidarsi della dirigenza italiana e che questa riesca finalmente a chiudere i rubinetti della spesa improduttiva, riqualificare quella già nel cesto, riscrivere realmente il sistema tributario, creare le condizioni per incrementare la produttività con investimenti mirati. Roba seria, insomma.

(*) agiovannini.it

Aggiornato il 01 dicembre 2020 alle ore 10:49