La folle gestione del Covid è nei numeri

lunedì 23 novembre 2020


Nel suo blog pubblicato su il Giornale.it, Gioia Locati pone alcune interessanti domande all’epidemiologo Stefano Petti, snocciolando alcuni dati abbastanza significativi sulle varie cause di morte in Italia. In particolare, tralasciando il fatto che secondo l’Istituto superiore di sanità solo una piccola parte dei decessi attribuiti al Covid-19 lo sono stati per causa diretta, anche considerando questi ultimi in toto, essi rappresentano comunque circa il 10 per cento della mortalità complessiva. Non solo: basandoci sui dati del 2017, per ogni morto col Covid si registrano 3,5 decessi causati da malattie cardiovascolari e 2,7 per quelle legate ai tumori. Ma, come ammonisce il professor Petti, tutto porta a credere che a conti fatti nel 2020 si registrerà un forte aumento della mortalità complessiva, e non per il Coronavirus ma a causa dell’impatto negativo che quest’ultimo sta avendo nella ordinaria gestione del sistema sanitario. Secondo lo stesso epidemiologo, riportando le analisi di molti studiosi italiani ed esteri, tale eccesso di mortalità va individuato “soprattutto nel sovraffollamento della sanità pubblica, nel fatto che le risorse sono state dirottate tutte sul Covid a scapito, ad esempio, dei reparti di Cardiologia e di Oncologia. Poi nel fatto che le persone non si recano al pronto soccorso per malattie che non siano Covid, trascurando quindi la loro salute”. Tant’è che per suffragare l’assunto, il nostro riporta un agghiacciante rapporto della Società italiana di cardiologia la quale, valutando in quasi la metà il calo degli accessi al pronto soccorso per infarto al miocardio durante la pandemia, parla di una mortalità per infarto triplicata. In estrema sintesi, e qui l’asino che ispira l’azione di chi gestisce l’emergenza sanitaria non può che cascare, il nostro sottolinea che “le malattie cardiovascolari e i tumori rappresentavano (prima dell’arrivo del Sars-Cov-2) il 63,5 per cento di tutte le morti e stiamo osservando ora che la Sanità pubblica si sta focalizzando sul 10 per cento delle morti, disinteressandosi del 63,5 per cento.

Ora, di fronte a questo disastro annunciato, il quale fa il paio con quello economico che ancora molti fortunati non avvertono in tutta la sua dimensione catastrofica, i fautori dell’attuale dittatura sanitaria rivolterebbero la frittata, invocando ancora più chiusure, così da consentire agli ospedali di occuparsi tanto dei malati di Covid che degli altri. In pratica, avendo dipinto una infezione che lascia quasi indenni il 96 per cento dei contagiati peggiore dell’Ebola, per questi novelli Savonarola, capeggiati splendidamente dal premier Giuseppe Conte (quello che ci spiega anche come comportarci durante il Natale), la risposta all’emergenza consisterebbe unicamente nel chiudere in casa i cittadini, limitandone le attività allo stretto necessario alla sopravvivenza biologica. Per questi geni, l’idea di potenziare la risposta sanitaria, consentendo di venire incontro ad una domanda di assistenza che non si restringa solo al Covid, non sembra passare neppure per l’anticamera del cervello. Non solo, dal momento che la succitata dittatura sanitaria ha stabilito per decreto divino, anche detto Dpcm, che in Italia oramai si muore quasi esclusivamente di Coronavirus, non si comprende affatto l’allarme lanciato dal professor Petti e da tanti medici che operano in prima linea. Resta solo il piccolo problema dei numeri. Numeri con la testa dura, i quali continuano a segnalare la folle gestione del Covid-19, in relazione al vastissimo e doloroso repertorio di patologie che affliggono un Paese confuso e terrorizzato.


di Claudio Romiti