Nota a margine: la ricchezza al tempo del Coronavirus

sabato 21 novembre 2020


Non è il primo. Non è il solo. Certamente Carlo Rovelli è però uno dei più autorevoli tra quelli che si sono avventurati in considerazioni sui mutamenti economici indotti o determinati dal Coronavirus che affligge il mondo (Corriere della Sera, 17 novembre 2020). Il punto d’attacco dell’illustre fisico pare giusto e condivisibile, pur nell’ovvietà. Lo Stato deve fare di più e meglio per alleviare i danni causati dalla pandemia ai produttori di beni e servizi, ai cittadini in generale. Ma, aggiunge lo scienziato, il virus non ha danneggiato né tutti né tutti allo stesso modo: “Ci sono settori che in questo periodo si sono molto arricchiti”. E anche questa è un’ovvia constatazione, sotto gli occhi di tutti. Per esempio, chi era in possesso delle azioni di società interessate dalla crescita dei relativi mercati ha guadagnato, anche moltissimo. Le quotazioni, dopo l’iniziale flessione da panico, sono cresciute. Hanno moltiplicato il capitale degli investitori; di tutti gl’investitori, però, grandi e piccoli. Questo “riorientamento dei profitti”, come fantasiosamente lo definisce Rovelli, non rappresenta null’altro che il naturale, fisiologico, benefico funzionamento del mercato e della concorrenza; del modo in cui l’uno e l’altra servono i consumatori, con efficienza, rapidità, economicità. Certo, “non è difficile vedere chi in generale si è impoverito e chi si è arricchito”.

Tuttavia (bisogna insistervi, per amore di verità e per tranquillità sociale!) l’arricchimento di alcuni non è determinato dall’impoverimento di altri né avviene a loro discapito. Gli arricchiti hanno profittato dei cambiamenti, non già approfittato degli impoveriti. Dal biasimo, pure immotivato, degli arricchimenti, secondo me non discende poi che sarebbe meglio che tutti fossero impoveriti allo stesso modo, magari per un malinteso ed autoelesionistico senso dell’eguaglianza. Citando l’esempio di Amazon e Jeff Bezos oggi sulla bocca di molti, a Rovelli “non sembra giusto che il costo lo paghi qualcuno mentre fasce privilegiate ne traggono vantaggi.” L’illustre scienziato forse trascura la considerazione che il Pil è caduto per la pandemia ma sarebbe caduto di più se pure Bezos avesse perso invece di guadagnare. Sembra contraddittorio lamentare la forte contrazione del Pil e la forte crescita di talune aziende, come Amazon. Qui la questione è posta da Rovelli sotto il profilo fiscale e redistributivo, perché il sottinteso è che Bezos paga poche tasse in Italia a fronte del fatturato italiano e quindi da lui lo Stato non può prelevare quanto sarebbe auspicabile. E per Carlo Rovelli i tributi auspicabili sono essenzialmente due: l’imposta progressiva sul reddito e l’imposta di successione. Per entrambe egli ripropone aliquote espropriative, il 72 per cento per l’Irpef e “aliquote alte e progressive” per le successioni. Gli effetti inintenzionali di una simile ipertassazione, magari accompagnata dall’imposta patrimoniale generale che altri sussurrano, sono ineluttabili come le leggi fisiche, che Rovelli conosce da par suo: fuga dei capitali, generale decrescita economica, impoverimento specialmente degli ultimi, a parte le difficoltà applicative di tali misure fiscali. Il tutto accompagnato da fatali restrizioni e controlli. Non può volere questo il professor Rovelli! Fenomeni distruttivi che si verificherebbero proprio mentre ristagnano le attività che dovrebbero essere incentivate alimentando la speranza nella rinascita e la fiducia nella riuscita, liberando i soggetti economici dai gravami e dalle ristrettezze della crisi.


di Pietro Di Muccio de Quattro