Confondere il garantismo con l’avversione all’ergastolo

venerdì 20 novembre 2020


Confesso che non l’ho capita. Fin dall’inizio – con la rassicurante compagnia di Paolo Ferrua – avevo detto che, condivisibile o no, l’inibizione dell’accesso al giudizio abbreviato dei reati puniti con la pena dell’ergastolo era del tutto legittima, rientrando tra le scelte rimesse alla discrezionalità del legislatore. Avevo aggiunto – anche e sempre in compagnia di Paolo Ferrua – che è davvero singolare battersi per il contraddittorio sulla prova e, allo stesso tempo, protestare per una preclusione che non pregiudica affatto il diritto di difesa, ma, semmai, lo esalta in conformità al dettato costituzionale e convenzionale. Registro invece, tra le fila dei cosiddetti garantisti, un contraddittorio silenzio sulla negoziabilità dell’accertamento giudiziario della colpevolezza, associato ad una non meno allarmante disponibilità all’estensione illimitata del patteggiamento, che rappresenta la negazione del principio appena menzionato.

Diciamo le cose come stanno: chi sostiene la tesi bocciata dalla Corte costituzionale confonde il garantismo con l’avversione alla pena dell’ergastolo e promuove una inaccettabile contaminazione tra istituti processuali e sostanziali. Piaccia o no, quella riforma non ha sottratto nessun diritto all’accusato, che può continuare a difendersi liberamente davanti al proprio giudice naturale. La riduzione di pena prevista per il giudizio abbreviato non è una circostanza attenuante. Certo, resta aperta la questione sulla compatibilità con la Costituzione della pena dell’ergastolo. Trattasi, però, di altro problema, del quale, prima o poi, dovremo tornare a parlare.


di Mauro Anetrini