Un Governo che odia la Calabria

giovedì 19 novembre 2020


La vicenda dei commissari alla Sanità calabrese è la plastica rappresentazione di un’incapacità. Nel volgere di giorni il Governo di Giuseppe Conte ha lisciato tre volte la palla sulle designazioni. Primo strike. L’ex generale dei carabinieri, Saverio Cotticelli, nominato dal governo Conte I nel dicembre 2018 e recentemente confermato nell’incarico dal Conte bis, è stato dimissionato dopo una surreale intervista, concessa alla trasmissione di Rai 3 “Titolo V”, in cui ammetteva di non sapere che spettasse a lui realizzare il piano regionale anti-Covid. Secondo strike. Al suo posto è designato il manager, Giuseppe Zuccatelli, sodale politico del ministro della Salute, Roberto Speranza, di cui si scoprono, a nomina avvenuta, allucinanti dichiarazioni sull’inutilità delle mascherine nella lotta alla diffusione del Coronavirus. Zuccatelli deve rinunciare all’incarico ancor prima dell’insediamento formale per l’onda d’indignazione che le sue parole sul virus hanno sollevato nell’opinione pubblica. Terzo Strike. I Cinque Stelle, corresponsabili nelle scelte sbagliate sui commissari imprudenti, giocano la carta Gino Strada, medico avvezzo ai teatri di guerra e impenitente paladino del terzomondismo. Sono molti, dentro e fuori la Calabria, a non prenderla bene. Non la manda giù il governatore calabrese facente funzioni, Nino Spirlì, che dice al presidente del Consiglio: se volete Strada dovrete passare sul mio corpo. Come dargli torto. Talvolta le decisioni politiche hanno peso simbolico, oltre che sostanziale. Indicare alla guida della sanità regionale il fondatore di “Emergency”, specializzato nell’emergenza sanitaria negli scenari bellici, equivale a parificare, nell’immaginario collettivo, la Calabria all’Afghanistan o all’Iraq del dopo Saddam. Giuseppe Conte, che è uomo da atteggiamenti pilateschi, opta per una diarchia commissariale che divida la competenza sull’emergenza pandemica dalla gestione del Piano di razionalizzazione e riqualificazione del Servizio sanitario regionale calabrese, che attende di essere realizzato dal 9 novembre 2007, quando la giunta regionale della Calabria – con delibera numero 695 – chiese al Governo nazionale un accordo sul Piano di rientro dal debito accumulato. Se per la gestione dell’emergenza il profilo di Gino Strada ha senso, per la soluzione del gap sanitario calabrese il Governo individua Eugenio Gaudio. Calabrese d’esportazione, stimato medico, accademico, Gaudio è stato rettore alla Sapienza a Roma dal 2014 al 2020. In pratica, la natia Calabria l’ha frequentata per le vacanze estive. Forse. Ma è competente e tanto basta.

Sembra fatta ma neanche il tempo di darne l’annuncio che arriva lo stop. Fonti di stampa rivelano che il professore Eugenio Gaudio risulta indagato dalla Procura della Repubblica del Tribunale di Catania nell’ambito di un’inchiesta sui concorsi universitari truccati. Una bordata micidiale per la credibilità del Governo a cui si imputa una sorprendente superficialità nel non aver predisposto verifiche sulla persona a cui si sarebbe inteso affidare una missione delicatissima. Siluro comunque schivato perché gli avvocati difensori dell’ex rettore fanno sapere che la Procura di Catania ha stralciato la posizione del loro assistito predisponendosi a chiedere al Giudice delle udienze preliminari l’archiviazione del procedimento. Tutto risolto? Per niente. Gaudio comunica la decisione di rinunciare all’incarico commissariale. Motivazione? Ragioni personali che l’avrebbero indotto al passo indietro. Gaudio spiega: “Mia moglie non ha intenzione di trasferirsi a Catanzaro. Un lavoro del genere va affrontato con il massimo impegno e non ho intenzione di aprire una crisi familiare”. Una roba da Scherzi a parte. Potremmo anche riderci su, se non fosse un dramma, soprattutto per i cittadini calabresi che si vedono trattati con insopportabile protervia dal Governo centrale. Sorge il sospetto che li si voglia punire per il peccato mortale commesso avendo votato in massa alle Regionali dello scorso anno una esponente della destra plurale, la povera Jole Santelli recentemente scomparsa. Onde evitare l’effetto boomerang, il premier Giuseppe Conte pensa bene di inscenare un gesto politico forte, dichiarando di assumersi la responsabilità per il pasticcio sulle nomine fallite. Queste le sue parole: “Mi dispiace per i calabresi che meritano una risposta dopo anni di malasanità. Mi assumo la responsabilità non solo del fatto che la designazione di Gaudio non sia andata a buon fine, ma anche delle designazioni precedenti”. Ma il beau geste non convince. A dirla tutta, è becera demagogia. Dopo il recente declassamento del valore supremo della coerenza, il premier sdogana l’ipocrisia elevandola a prassi di Governo. Il principio di responsabilità, sotto l’aspetto etico, è definito dal contenuto della sanzione meta-giuridica che l’accompagna. Nel caso della responsabilità politica, la sanzione si sostanzia nella perdita del potere politico. Se ne ricava che una corretta dichiarazione di responsabilità dovrebbe avere il seguente tenore: ho sbagliato, quindi mi dimetto. L’ammissione, da parte di un politico, di un errore grave compiuto che impatta negativamente sulla condizione di una comunità è tale solo se è seguita dall’accettazione della connessa sanzione. Ma Giuseppe Conte scaltramente elude la concatenazione logica tra premessa e conclusione. Perciò la sua dichiarazione monca non ha alcun valore sostanziale se non quello di volgare presa in giro.

Il compianto Francesco Cossiga si dimise dalla carica di ministro dell’Interno del quarto Governo di Giulio Andreotti il 9 maggio 1978, appena venne ritrovato il corpo esanime dell’onorevole Aldo Moro, trucidato dalla Brigate Rosse. Nel 2003, in un’intervista al quotidiano “La Stampa” l’ex presidente della Repubblica così ricordava i drammatici momenti del rapimento di Aldo Moro: “Per giorni, per mesi, dopo via Caetani e le mie dimissioni, mi sono svegliato di soprassalto, dicendo “Io ho ucciso Aldo Moro”. E ne ero consapevole sin dall’inizio, fin da quando, nell’edicola di Monte Mario dove stavo sfogliando riviste di elettronica, appresi dalla radio dell’auto di scorta collegata con il capo della polizia che Moro era stato rapito, fui certo che sarebbe stato ucciso perché scegliendo la linea della fermezza, noi stabilivamo la sua condanna a morte. Così scrissi subito due lettere di dimissioni: una nel caso le Br l’avessero ucciso, l’altra nel caso, che mi pareva remoto, l’avessero liberato”. La sua assunzione di responsabilità fu realmente un gesto di altissimo profilo etico e politico. Accostarlo al comportamento cialtronesco di Conte sarebbe un oltraggio alla decenza. La boutade del premier è stata studiata per stendere una cortina fumogena che oscurasse al giudizio dell’opinione pubblica l’inadeguatezza del suo Governo e della maggioranza parlamentare ad affrontare una crisi sanitaria dalle conseguenze devastanti sul versante economico. Con la fasulla assunzione di colpa Conte ha trasformato l’etica della responsabilità in una nuova, insidiosa, forma di demagogia. Se il danno immediato di tale comportamento si riflette sui calabresi, gli effetti negativi più profondi investono la tenuta della coesione sociale. Perché l’etica della responsabilità costituisce la risposta più convincente alla mancanza di senso nei contesti sociali complessi, all’irrazionalità del mondo. Averne profanato lo spirito con un velenoso gioco di parole è stato un grave atto di arroganza. Parafrasando Marco Tullio Cicerone verrebbe da chiedergli: fino a quando dunque Giuseppe Conte abuserai della nostra pazienza?


di Cristofaro Sola