I raccomandati, una direzione paternalistica attuata con strumenti impropri

Per nove volte il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nel suo ultimo Dpcm, si affida alle raccomandazioni. Lo fa “fortemente” per invitarci a mettere la mascherina anche dentro casa, se ci sono persone non conviventi; a evitare di spostarci sia con mezzi pubblici sia con mezzi privati se non per motivi di necessità, lavoro, studio o salute; di non invitare amici e parenti a casa; a evitare riunioni in presenza. Lo fa senza avverbi rafforzativi per chiedere l’applicazione del protocollo di sicurezza per le attività di vendita al dettaglio, per invitare i professionisti a lavorare da casa e/o a garantire i protocolli di sicurezza e santificazione; a seguire tutti le misure igienico-sanitarie di prevenzione di base (lavaggio delle mani, distanziamento).

È stato ripetuto che una raccomandazione non ha alcun valore giuridico. Per quanto possa essere scritta “fortemente”, non può creare un limbo tra un comportamento illecito e uno lecito. Il presidente può dirlo con tutto il fiato in gola, ma una raccomandazione scritta in un testo normativo resta una raccomandazione: una semplice richiesta che non obbliga a nessun comportamento, se non attraverso quel senso di rispetto e obbedienza con cui – da figli – abbiamo seguito le raccomandazioni dei nostri genitori.

Ed è proprio in questo parallelo che le nove raccomandazioni contenute nel decreto non sono affatto irrilevanti. Anzi, la loro presenza mostra due cose che non avremmo voluto vedere. Da un lato, manifesta un senso di impotenza gestionale che ci sta portando dritti ad una nuova, più feroce fase 1. Chiederci di non prendere mezzi pubblici per non affollarli è un’ammissione di mancanza di capacità gestionale e di individuazione di soluzioni, nonostante i mesi avuti: il presidente e il suo Governo si affidano al nostro buon cuore per evitare che i mezzi urbani circolino in sicurezza, non avendo voluto trovare altre soluzioni e sapendo, proprio per ciò, di non poter far ricadere, almeno per ora, la loro irresponsabilità sulle nostre esigenze di mobilità. Da questo punto di vista, le raccomandazioni sono il fallimento del potere esecutivo.

D’altro lato, esse mostrano una direzione paternalistica attuata con strumenti impropri. Le raccomandazioni sono una tipica espressione politica. Sono spesso usate, non però in atti di manifestazione di potere regolatorio, quanto in atti di indirizzo che nascono esattamente per rimanere sul piano della persuasione, senza pretendere di essere pubblicati in Gazzetta Ufficiale. Mescolare i due piani, quello del potere regolatorio e quello del carisma politico, le rende inutili da un lato e pericolose dall’altro. Non vorremmo trovarci con uno Stato che, per primo, non ha fiducia né nelle sue capacità decisionali né nelle doti persuasive dei suoi esponenti.

Aggiornato il 29 ottobre 2020 alle ore 10:21