Effetto Covid: ecco gli spioni

Vinovo è un piccolo comune del torinese, non lontano dal parco naturale di Stupinigi: 15.245 anime censite al 1 gennaio di quest’anno, il paesino un tempo borgo agricolo ha conosciuto l’industrializzazione degli anni Cinquanta-Sessanta e ne ha vissuto il declino. Il posto è bello, tranquillo e ricco di testimonianze del passato. I suoi abitanti, finora, hanno annoverato la filarmonica “Giuseppe Verdi” fondata nel 1847 tra le glorie cittadine. Ma, dallo scorso venerdì, Vinovo può contare su un primato di cui però non sappiamo quanto i suoi cittadini possano andare fieri: è la terra del primo spione dell’era Covid. Uno zelante vinovese ha preso in parola il ministro della Salute, Roberto Speranza, il comunista con la faccia da bravo ragazzo che, in diretta televisiva, ha invitato gli italiani alla delazione sui comportamenti privati dei concittadini. Il messaggio è stato chiaro: se avete il sospetto che dai vostri vicini si stia banchettando con un numero di invitati superiore a quello consentito dalle norme di prevenzione del contagio, ditelo ai carabinieri. Che è ciò che ha fatto il collaborante vinovese.

Spiando l’altrui salotto dalla sua abitazione, come un redivivo James Stewart del thriller di Alfred HitchcockLa finestra sul cortile”, ha visto circolare troppe bottiglie per dissetare le sei persone consentite dal Dpcm del premier Giuseppe Conte. E poi, si sa che in paese ci si conosce tutti. E quei volti in soprannumero, studiati con attenzione dalle fessure della tapparella, non potevano appartenere a conviventi dei padroni di casa. Così è scattata la telefonata alle forze dell’ordine. “Venite, il mio vicino ha più di 6 persone in casa”, questo è stato il messaggio che ha messo in allerta i carabinieri, che si sono precipitati sul posto per cogliere in flagrante i malfattori. Ma al delatore è andata male, perché quando i militari dell’Arma hanno bussato alla porta del soggetto della soffiata, hanno trovato sei persone che socializzavano amabilmente come prescrive la legge, perdipiù dotati di mascherina.

Vorremmo provare a confortare il deluso spione con un incoraggiamento: non si butti giù caro signore, continui a infilarsi subdolamente nelle vite degli altri che prima o poi qualche marachella da segnalare alle forze dell’ordine la scoprirà e la meritata fama di delatore resterà intonsa. Intanto, si goda il merito di aver trasformato l’assopito borgo piemontese, vellicato dalle timide acque del Chisola, nella Berlino Est degli anni ruggenti del Muro. E piazza Guglielmo Marconi, con la sua fontana, il giardino, il palazzo comunale e la torre con l’orologio, per una sola, si spera irripetibile, notte nell’Alexander Platz del verso musicale di Franco Battiato. Un episodio del genere dovrebbe far sbellicare dal ridere. Perché a noi non succede?

Al contrario, ci mette paura. La spiata di Vinovo è stata una maldestra messa in opera di un paradigma sociale che riflette un credo ideologico: l’autoritarismo di cui questo Governo è matrice e prodotto allo stesso tempo. È il ritorno allo Stato che si insinua nelle vite dei cittadini, spiandoli attraverso la rete dei delatori, condizionandoli a suon di decreti imperativi e di norme speciali, intromettendosi nei gusti personali mediante il comando su cosa si possa gioire e festeggiare e cosa invece sia abietto e degenere. D’altro canto, la delazione è lo strumento principe per dare sfogo all’invidia sociale. E questo Governo fa di tutto per farne lievitare il livello all’interno della comunità. Ai comunisti è sempre piaciuto mettere la gente contro. Ora, con la scusa della pandemia, può legittimarne la pratica.

Quando qualche tempo fa Flavio Briatore lanciò l’accusa che ce la si voleva prendere con quelli che vanno in vacanza in Costa Smeralda perché danarosi, ci era parso che avesse esagerato. Oggi, dobbiamo riconoscerne le buone ragioni. Basta ascoltarli, quelli della sinistra, per rendersi conto della realtà. Gli italiani sarebbero nei guai non perché il Governo sia stato incapace di prepararsi per tempo al prevedibile ritorno del virus, ma perché si sarebbero lasciati andare alla bella vita nel periodo delle vacanze estive. Come se rilassarsi e divertirsi fosse un peccato grave. E probabilmente lo è per questo amalgama di comunisti, pauperisti, gesuiti, terzomondisti che sta al potere.

L’abbiamo presa a ridere quando Vincenzo De Luca, governatore della Campania, minacciò di stroncare con il lanciafiamme una festa di laurea. Sbagliammo a non capire che dietro la rappresentazione macchiettistica vi fosse la presa ad artiglio di un modo d’intendere la vita e i rapporti sociali tipica di un vecchio comunista. Non vogliamo fare le vittime, ma questo inoculamento di giudizi etici nella condotta individuale da parte delle autorità di Governo è odioso. E preoccupa. Perché segnala la tanto temuta deriva autoritaria. Al tiranno non basta imporre cosa si possa o meno fare, ma deve dire come farlo. E la delazione è il mezzo più efficace con il quale controllare che i cittadini rispettino i suoi comandi.

Per anni siamo stati presi per i fondelli con la storia dell’allarme democratico a causa della presenza di quattro imbecilli che andavano imbrattando i muri delle strade con scritte sconce e farneticanti. Ci siamo chiesti il perché di tanta enfasi su fatti inconsistenti. Ora ci è chiaro. È stato un gigantesco depistaggio per distrarre l’opinione pubblica dai riflessi pavloviani, questi sì eversivi, di un pensiero politico che fa perno sulla compressione delle libertà individuali attraverso l’instaurazione di uno Stato etico di fatto, sebbene formalmente negato.

Mentre abbiamo rincorso la lepre di paglia del pericolo fascista, i comunisti della porta accanto hanno lavorato come talpe a preparare la gabbia sotterranea in cui rinchiudere la democrazia italiana. Pare ci stiano riuscendo. Non senza complicità diffuse: dagli utili idioti nostrani ai convitati di pietra delle istituzioni e dei poteri, interni ed esteri. Il Covid-19 sarà pure una brutta bestia ma questo massacro delle libertà è peggio.

Aggiornato il 21 ottobre 2020 alle ore 09:51