Il ritorno dei partiti che non se ne sono mai andati

giovedì 15 ottobre 2020


Andata e ritorno, si vorrebbe dire a proposito dei nostrani partiti. E, per certi versi, le due direzioni non sono campate in aria. Volenti o nolenti, tutte le formazioni politiche esistenti, ancorché autodefinitesi movimenti o quant’altro, derivano sempre da una matrice (e non solo) che trova nella forma partito quell’ubi consistam che consente loro di essere presenti e attivi nel Paese e nel Parlamento.

Quindi, affermare che tornano i partiti vorrebbe cogliere una fase positiva sovrapponendo un comprensibile augurio ad una realtà che ci parla d’altro, soprattutto nei riguardi dell’ultimo arrivato, cioè il Movimento 5 Stelle.

L’esempio più significativo è quello pentastellato, per una voluta e insistita diversità dalle altre formazioni proponendo una sottospecie di ideologia che doveva agire in nome della distruzione del vecchio e del corrotto, passato e presente, fingendo, tuttavia, di presentare contenuti e forme in sintonia diretta col popolo di cui la novità del Rousseau doveva sostituire le stantie pratiche di selezione, di partecipazione e di rappresentanza.

L’offerta e l’attuazione della democrazia diretta assunta come obbligo identitario voleva dunque cancellare la stessa essenza di partito nella misura con la quale coniugava il click del computer con la libertà di scelta, priva di qualsiasi condizionamento nella convinzione che bastasse un successivo “vaffa” di Beppe Grillo per recuperare, a destra e a sinistra, gli scontenti e gli insoddisfatti incanalandoli nella direzione del tutto contro tutti non sulla scorta di una proposta ideale ma con la spinta di una qualunquismo spacciato come liberazione ed archiviazione del cosiddetto vecchio che resiste contro il nuovo che avanza. E l’aiuto dei media ha fatto il resto.

In questa nuova forma vi era già il baco che ne avrebbe mangiato il banale contenuto di quel tipo di opposizione già prima dell’approdo governativo e con gli assaggi del potere, poiché fin dalla nascita il M5S creato da Gianroberto Casaleggio aveva fondamenta destinate a rivelare la pochezza pentastellata in gran parte frutto di un inganno, la democrazia diretta, che non può realizzarsi non solo senza la premessa di una Weltanschauung, cioè una visione del mondo, ma rifiutando proprio quelle, chiamate con disprezzo le liturgie partitiche, che invece presuppongono il principio di partecipazione individuale con l’obbligatorietà di passaggi e verifiche attraverso assemblee, comitati direttivi, esecutivi, segreterie e presidenze che derivano la loro stessa essenza dal confronto e dallo scontro con relative maggioranze e opposizioni assemblate, infine, in un disegno unico in nome di una comune visione del mondo e in una gestione che aborre l’uomo solo al comando.

Il baco di cui s’è detto, altro non era e non è che l’aver indossato come nuovo l’abito vecchio di molti partiti che avevano messo da parte quei principi e passaggi di partecipazione attiva secondo una nuova prassi che conduceva a porre in disparte le necessità interne di maggioranze e opposizione originate e legittimate proprio da quei passaggi, con una conclusione di vertice in cui si affacciava, e continua ad affacciarsi, il profilo e il potere dell’uomo solo al comando supportato da un’esposizione mediatica sostitutiva della realtà con la fiction.

Si è voluto esemplificare, tramite un M5S non più in ottima salute, un male che ha infettato quasi tutti i partiti, ma è appunto questo baco corrosivo che testimonia non tanto o soltanto un declino, ma riafferma una continuità sbandierata come novità ed è, invece, l’inossidabile prosecuzione della comune malattia.


di Paolo Pillitteri