Gli improbabili giudici di Palamara

Tutto come previsto. L’assemblea generale della Associazione Nazionale Magistrati, alla quale Luca Palamara si era appellato contro l’espulsione decretata dal Direttivo, ha rigettato l’appello, confermando l’espulsione.

E come si voleva che finisse se non così? L’appello non solo era inutile, ma già ampiamente scontato nel suo esito. Rimangono però due aspetti da evidenziare.

Il primo. Risulta che su 113 componenti, ben 111 hanno votato contro l’appello di Palamara e soltanto due a favore. Una percentuale più che bulgara, sovietica o cinese, come si diceva una volta, nordcoreana, come diremmo oggi: complimenti per la capacità critica internamente coltivata dalla Associazione!

E quei due, chi sono quei due che hanno “osato” – perché di osare si tratta – schierarsi con Palamara e contro ben 111 colleghi?

Non si sa. Forse il voto segreto impedirà per sempre di saperlo. Ma ciò che conta non è questo: è che l’Assemblea si sia mostrata compatta nel condannare le malefatte di Palamara, confermando la sua espulsione.

Questo, purtroppo, pensano – non pensando – quei suoi colleghi. Senza sapere che l’esito di questa votazione rappresenta, al contrario di quanto ritiene l’opinione comune, l’aspetto peggiore della democrazia, quando questa – come qui accaduto – diviene null’altro che “la ragione dei più”, tanto criticata da Platone. Essa si avvale infatti in casi del genere non già della ragione in sé, ma della forza che a questa viene assicurata dal numero schiacciante dei voti a favore, indipendentemente dal fatto che si tratti di ragione autentica o di torto da ragione travestito.

Insomma, come già notava Kelsen, la folla, richiesta da Pilato se liberare Barabba o Gesù, votò a schiacciante maggioranza a favore del primo e contro il secondo: questo, per il filosofo ceco, il più serio argomento contro la democrazia, quando questa non si curi di distinguere oggettivamente le ragioni in contesa, ma si limiti a schierarsi in modo ideologico a favore di una e contro l’altra. Siccome Gesù andava “comunque” condannato a morte – anche se incolpevole – ne veniva che era Barabba a dover essere liberato.

Non intendo certo paragonare Palamara a Gesù, ma la procedura seguita e l’ideologia che la governa invece sì, intendo paragonarle, passando così al secondo aspetto da commentare: e cioè alla soddisfatta affermazione di Luca Poniz, presidente della Anm, che così suona: “L’Anm a cui pensa Palamara, mirata all’autocollocazione, non c’è più e questo è già un buon risultato”.

Verrebbe da gridare – per rimanere in atmosfera messianica – “miracolo! miracolo!...”.

Infatti, Poniz opera una autentica rivelazione che, fino ad ora, era rimasta un segreto suo e di pochi altri: e cioè che l’Anm – quella in cui fino a pochi mesi fa avevano operato Palamara, decine e decine di altri magistrati, non escluso lo stesso Poniz, il quale certo non viene da Marte – non esiste più, sostituita completamente da una nuova Anm che si disinteressa delle “collocazioni” dei magistrati, occupandosi soltanto della qualità dell’amministrazione della giustizia nell’interesse dei cittadini.

Benissimo. Resta però una domanda: come fa Poniz a saperlo? Chi glielo ha detto? Quale la fonte del suo granitico sapere?

Anche perché pare lecito, se non necessario, dubitare della fondatezza di una tale sicurezza messa in mostra da Poniz. Pare infatti davvero strabiliante che oltre cento magistrati che, fino a pochi mesi or sono, erano, per usare le sue parole, “mirati all’autocollocazione” – cioè passavano il tempo brigando in vario modo per assicurare a se stessi e alla propria corrente posti di potere – improvvisamente abbiano mutato natura, divenendo persone esclusivamente pensose delle precarie sorti della giustizia in Italia.

Se così davvero fosse, ci troveremmo appunto di fronte ad un miracolo: cosa di cui dubito assai.

Poniz , in buona fede, non si è accorto che i fatti parlano da soli contro la tesi da lui sostenuta. Che la totalità dei magistrati componenti dell’Assemblea – tranne due ignoti – abbia votato nel medesimo senso per l’espulsione di Palamara, dice una cosa molto chiara: che si tratta di un voto di taglio ideologico, al pari di quello espresso davanti a Pilato.

È ideologico perché non ha tenuto conto in alcun modo che, come lui stesso precisò, le correnti non le ha inventate certo Palamara e che, per questo motivo, buona parte di coloro che votavano contro Palamara avevano tenuto i medesimi comportamenti a lui rimproverati: ecco perché mesi or sono scrissi su queste colonne che Palamara non potrà esser giudicato da nessuno in modo imparziale, se non dai magistrati di prima nomina, ancora esenti dai giochi correntizi.

Tutti gli altri sarebbero, sono e saranno giudici assai improbabili, che, etimologicamente, da “probo” vale “approvare”: essi non potranno trovare alcuna approvazione giuridicamente razionale per il loro operato.

In quanto ideologico, il voto contro Palamara si lascia cogliere infatti come “assoluto”, “necessario”: si sa, l’ideologia non ammette mezze misure o inammissibili equilibri, cioè non ammette la proporzione della giustizia.

Condannare Palamara significa infatti assolvere se stessi: da qui la maggioranza schiacciante contro di lui, maggioranza peraltro inutile, priva di significato.

Almeno nel senso del sagace e illuminante aforisma di Paul Valéry: “Se pensi come la maggioranza, il tuo pensiero diventa superfluo”.

Aggiornato il 23 settembre 2020 alle ore 09:34