Quando vale il detto: il sì e il no per me pari sono

mercoledì 16 settembre 2020


Il ribaltamento (come chiamarlo diversamente?) delle posizioni di partiti “ideologicamente” all’opposto nei confronti del referendum potrebbe rientrare nella ragion d’essere, nella dialettica del liberalismo, ma il caso dei grillini e delle Sardine, gli uni contro gli altri armati, non è esattamente un esempio di coscienza e di consapevolezza liberale. Ma tant’è.

Anche per queste ragioni lo scontro del 20 e 21 prossimi sta suscitando nelle ultime settimane un’attesa che, nel generico referendario, è abbastanza tranquilla sebbene i risultati abbiano sempre condizionato i governi provocando sloggiamenti da Palazzo Chigi, da Massimo D’Alema a Matteo Renzi. La sottovalutazione del referendum settembrino può produrre delusioni.

L’attesa del responso, collegato a quello non secondario delle Regioni, è stata in un certo senso disattivata quando Matteo Salvini ha irrorato sull’ansia dei risultati il tranquillizzante per il Governo Conte, affermando che il risultato non avrà conseguenze sulla sua stabilità. E Conte, dopo un lungo silenzio mediatico, è ritornato alla carica rioccupando tutti (ma proprio tutti!) gli spazi funzionali alla sua ossessione: la visibilità.

Com’era naturale, anche Nicola Zingaretti s’è messo il cuore in pace dedicandosi prevalentemente alle questioni regionali fra le quali primeggia quella Toscana in cui anche lo stesso Renzi è impegnato allo stremo, conscio del fatto che perdere la “sua” Toscana sarebbe il colpo di grazia per Italia Viva, già di per sé ridotta al lumicino.

Spostata sull’esito toscano con la Ceccardi vs Giani, la posta in gioco sta vedendo in Salvini il protagonista più accanito e più capace nel suscitare entusiasmi in una regione rossa da sempre e che attende il leggendario cambio. Che, se raggiunto, non potrà non avere qualche conseguenza sulla situazione governativa tant’è vero che si parla diffusamente, a cominciare dal Partito Democratico, di rimpasto, fermo restando che l’effetto negativo non potrà non avere ripercussioni sul segretario di questo partito che fino ad ora è sfuggito proprio come una saponetta dalle mani che lo volevano stringere per una resa dei conti a proposito della grillizzazione del fu partito di Togliatti e Berlinguer. E molto probabilmente non basterà avviarlo verso un congresso di chiarimenti interni data la gravità di una sconfitta che segnerà nel profondo ciò che resta dell’identità di quel partito.

In questo senso si sta assistendo ad una sorta di microreferendum il cui risultato, come si va dicendo e osservando, ha una posta in gioco non molto dissimile da quella del macro per il sì e per il no che dà l’impressione di una partita dal risultato scontato giacché il sì, leggendo i sondaggi, è di gran lunga in vantaggio sul no che, pure, sta risalendo. Ma si tratta di una risalita che regge soprattutto per i certi, i certissimi come noi che, peraltro, furono a suo tempo maltrattati proprio da alcuni che hanno abbandonato le certezze di prima grazie ad una riflessione che è comunque la benvenuta benché appaia per certi aspetti tardiva, mentre rimangono ancora da capire “politicamente” gli entusiasmi di un passato nel quale la demagogia populista di chi voleva aprire il Parlamento come una scatola di tonno veniva premiata con un’alleanza sulla loro proposta referendaria della quale s’intuiva un esito niente affatto riformista perché favorevole proprio ad un movimento la cui distruttività è pari alla sua incollatura alle poltrone di governo e sottogoverno. Come si addice alla vera Casta.


di Paolo Pillitteri