Bologna: processare i morti per non assolvere i vivi

lunedì 3 agosto 2020


La strategia dei processi sulla strage di Bologna è collaudata, oltre che ideologica: processare i morti per non assolvere i vivi. Fin dall’inizio l’indagine sulla strage – visto che forse bisognava tenere il segreto di Stato sul Lodo Moro, cioè sull’accordo scellerato tra l’Italia e l’Olp di Yasser Arafat per evitare attentati sul suolo patrio – puntò su possibili responsabili morti, o aiutati a morire, per consegnare il tutto alla storia con un “amen”. Uccisero Pierluigi Pagliai in Bolivia e lo riportarono in Italia con un aereo del Sismi per accollargli la strage. Tentarono di uccidere l’ex estremista di destra Pierluigi Bragaglia sotto casa – ma ammazzarono al posto suo una signora che aveva la macchina dello stesso modello e dello stesso colore – anche qui perché un morto accusato di strage non poteva difendersi. Uccisero a sangue freddo Giorgio Vale, che era un compagno di scorribande di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, per lo stesso motivo.

E così via. Ma non funzionò. Adesso per il quarantesimo anniversario di quella orrenda strage – che forse avvenne per sbaglio con esplosivo in transito per i palestinesi innescato accidentalmente, come sapeva anche l’ex capo dello stato Francesco Cossiga – ritirano fuori vecchie carte su Licio Gelli e Umberto Ortolani, già analizzate al microscopio 38 anni orsono, e le spacciano per nuove prove. Tanto nessuno si ricorda più niente. I magistrati dell’epoca hanno più di 90 anni, quando sono ancora vivi, gli imputati cui è stato accollato con sentenza definitiva l’attentato a mo’ di colpevoli di repertorio non parlano più perché sono rassegnati a subire questa ragione di Stato, anche se non la retorica ipocrita che la accompagna.

E l’opinione pubblica di oggi, se possibile, è ancora meno consapevole di quella di 40 anni orsono. Vogliono prenderci per stanchezza. Un teorema ripetuto mille volte diventa realtà nell’immaginario giudiziario italiano. E poi – come nel caso del primo processo per l’uccisione del magistrato Paolo Borsellino – ci sta pure un pentito, sempre finto e morto anche lui, che ha fatto sì che la pratica venisse messa in cassaforte con un giudicato. Poi chi è di sinistra tifa per la pista nera, mentre chi non lo è subisce la propaganda. Della verità non importa nulla a nessuno. Casomai dei risarcimenti o delle implicazioni politiche del tutto. L’Italia e gli italiani sono di bocca buona su stragi e misteri, si accontentano di questa giustizia. Contenti loro, ma non contenti tutti.


di Dimitri Buffa