Su maggioranza e opposizione l’effetto Conte

venerdì 24 luglio 2020


Non si può non partire dal presupposto che la lunga maratona a Bruxelles ha visto Giuseppe Conte tagliare il traguardo fra i primi. Non minori dubbi esistono (e esisteranno) su un “successo” destinato ad avere effetti sia nella maggioranza che nella opposizione, di più in quella che in questa. C’è sempre stata fra Giuseppe Conte e Luigi Di Maio una sindrome di derby da vincere, ora da uno, ora dall’altro, non solo o non tanto per la concorrenza ovvia fra due partecipanti alla partita di cui uno, Conte, è stato mandato a Palazzo Chigi senza che si sapesse chi fosse, ma per le origini di un Di Maio totus politicus e grillino doc e dunque storicamente un grado avanti dell’altro. E con pretese e progetti più giustificabili. Il ritorno di Conte dalla Ue è stato bensì accolto, anche da Di Maio e dall’alleato Nicola Zingaretti, con applausi ma si capiva lontano un miglio che il vero pensiero dei plaudenti accorreva al futuro ruolo, accresciuto politicamente, dell’attuale premier dentro l’alleanza e più propriamente all’interno dei due partiti, magari mettendoli insieme sotto la sua guida e tagliando a Di Maio e Zingaretti la strada, oltre che il potere.

In realtà, questo Conte reduce da Bruxelles è di molto cambiato rispetto a quello che vi si era recato fra non poche debolezze e incertezze, sia sue proprie che degli alleati, sullo sfondo di una maggioranza traballante con un M5s in preda a scissioni e liti interne, capace soltanto di porre ostacoli, alcuni assolutamente incomprensibili e sadomasochisti (è il caso del Mes ma non solo). Ma, a quanto pare, la sfida interna che già ora uno stanco e scipito Pd non ha molte volontà di fare, è rinviata a settembre quando, come vuole la narrazione politica che va per la maggiore, i nodi verranno al pettine. Per l’estate, ci penseranno i poteri forti, almeno i pochi che restano. L’opposizione, che oggi ha indubbiamente i numeri per vincere e per governare, ha diversificato il suo giudizio sulla vicenda europea, e lo si intuiva fin dall’inizio da quando un Matteo Salvini “sovranista” e dal sempre scarso interesse per l’Ue, aveva snobbato la riunione, con una Giorgia Meloni assai diversamente attenta a una faccenda che coinvolgeva tutto il Paese e che non a caso ha valutato positivamente, con qualche critica, l’operato contiano, e con un Silvio Berlusconi più europeista di tutti e coerente con la sua storia della quale, peraltro, sta cercando di raddrizzarne le sorti in cerca di una centralità perduta. E l’ultimissimo sondaggio sembra premiarlo.

La Lega a guida Salvini sembra preferire una sorta di splendido isolamento secondo l’iter di una politica in cui prevale un sovranismo fai da te, che dà spesso l’impressione di un movimento percorso da volontà di chiusure e di autoreferenzialità, in vertici da cui pare evidente una sorta di veto per Guido Crosetto e amici. In questo senso, Giorgia Meloni ha una sua politica diversa che si inquadra nelle linee di fondo di aperture e di recupero di esterni e degli scontenti dentro una alleanza, e se ne vedono i risultati in sondaggi sempre in crescita. Del resto, che il centrodestra nel suo complesso abbia smesso di guardare al di fuori dei propri recinti, di coinvolgere esterni, intellettuali, economisti, imprenditori come una volta con Antonio Martino, Domenico Fisichella, Giuliano Urbani, è una realtà che può darsi l’avvicinamento elettorale potrà modificare. Ma, allo stato, non sembra funzionale all’allargamento e al rinnovamento.


di Paolo Pillitteri