La confusione concettuale di Giuseppe Conte

Non è solo politica. Meglio: non può essere soltanto politica. Quando studiosi del calibro di Sabino Cassese dicono che sei fuori strada, che stai esagerando, che confondi concetti giuridici elementari, non tutto si riduce alla politica, alle ambizioni, al disperato bisogno di sopravvivere sebbene sia già suonata la campana di fine ricreazione. Prima della politica, per un giurista, c’è il diritto, la cui conoscenza, a quelli bravi, consente addirittura di sostenere l’insostenibile, piegando la realtà dei fatti alla propria visione del mondo, ai propri interessi. Non so se Giuseppe Conte sia un politico (quand’anche eterodiretto); di certo, non è un giurista.

In ordine sparso, lo rivelano:

  1. il suo linguaggio, mai condizionato (com’è inevitabile per i veri giuristi) dalla sua formazione;
  2. gli strumenti che usa, di natura ed efficacia regolamentare, mai normativa;
  3. la confusione tra concetti giuridici di base, come rilevato da Cassese;
  4. la mancanza di una prospettiva costituzionale della funzione che svolge e del ruolo che riveste.

La mediocrità del personaggio emerge più che dalle promesse non mantenute (la cascata di denaro che attendiamo come la manna), dal suo modo di esprimersi. “Potenza di fuoco mai vista prima” è una locuzione che avremmo perdonato agli incolti pentastellati Luigi Di Maio, Paola Taverna, Laura Castelli, ma non ad un accademico. Siamo ai rilievi di Cassese. L’approssimazione del linguaggio è il sintomo della confusione concettuale: urgenza ed emergenza non sono la stessa cosa. Urgenza ed emergenza hanno presupposti diversi e comportano conseguenze differenti. La seconda, ad esempio, non è disciplinata nel nostro ordinamento. Forse, non a caso.

Aggiornato il 13 luglio 2020 alle ore 11:50