Il diritto alla difesa di Palamara e la madre di tutti i verminai giudiziari

lunedì 22 giugno 2020


Se tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, magistrati compresi, non si capisce perché a Luca Palamara debba essere negato il diritto di difendersi secondo la tesi che le sue denunce sui rapporti continui tra il mondo della politica ed il vertice della magistratura servirebbero a rafforzare chi, come ha detto Eugenio Albamonte, dal 1992 in poi, “cerca nuovi spunti per delegittimarci”.

Negare il diritto di difesa a chi vuole impedire di essere trasformato nel solo capro espiatorio di un fenomeno degenerativo di cui tutti gli operatori e gli osservatori della giustizia erano a conoscenza fin da prima degli anni indicati da Albamonte non è soltanto ingiusto ma anche inutile. Non è certo crocifiggendo Palamara che si cancella la degradazione ma si aggiunge regresso a degenerazione e si contribuisce a sostenere quell’azione delegittimante della magistratura che erroneamente si ritiene essere iniziata nel 1992 dai nemici politici di “Mani pulite” ma che è piuttosto opera di quelle stesse toghe convinte da molto tempo prima dello scoppio di Tangentopoli che l’unica strada della rigenerazione della società italiana e della rivoluzione sociale e morale consistesse nell’applicare la torsione dell’uso politico della giustizia, incardinato sulla progressiva saldatura tra i settori progressisti della magistratura ed i partiti della sinistra progressista italiana.

La degenerazione di cui si parla affonda le sue malsane radici nel mito della cosiddetta rivoluzione giudiziaria. A cui hanno creduto almeno un paio di generazioni di magistrati di sinistra e responsabili di aver prodotto non soltanto danni incalcolabili al Paese ma anche di aver recato disdoro e sfiducia crescente nei confronti di una categoria su cui ricade la responsabilità di rappresentare e difendere l’autorevolezza dell’intero Stato.

A nessuno sfugge che se il trojan utilizzato per incastrare Palamara fosse stato applicato in precedenza nei confronti di tutti i presidenti dell’Anm che avevano preceduto in quell’incarico l’attuale “capro espiatorio”, il verminaio che tanto scandalizza oggi sarebbe emerso con grande anticipo ed altrettanto scandalo.

Così fan tutti e, soprattutto, hanno sempre fatto tutti. In particolare coloro che non avendo speranza di compiere una rivoluzione politica e sociale hanno pensato che l’unica possibile fosse quella giudiziaria. E ora non vogliono ammettere che il loro errore è la madre di tutti gli spregevoli verminai affiorati nel frattempo!


di Arturo Diaconale