Savona (Consob): Discorso al mercato, perché l’Italia intenda

A Paolo Savona l’abito di presidente della Consob sta stretto. Basta ascoltarlo per accorgersene. Ieri l’altro, l’illustre economista ha pronunciato il rituale “discorso al mercato” che annualmente compete al presidente della Commissione nazionale per le Società e la Borsa. Avrebbe dovuto essere una relazione di carattere tecnico, ma si è presto trasformato nella manifestazione di un pensiero politico e filosofico-economico di un uomo che ha una visione. Quando gli storici, tra molti decenni, analizzeranno il nostro tempo non mancheranno di inserire nell’elenco degli errori catastrofici commessi dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quello di aver impedito, all’atto della nascita del primo Governo Conte retto dall’accordo Lega-Cinque stelle, la nomina di Paolo Savona a ministro dell’Economia. Un inquilino della sua caratura in Via XX Settembre avrebbe impresso una diversa svolta agli eventi che si sono susseguiti dall’estate del 2018. Probabilmente non ci saremmo ritrovati Roberto Gualtieri, un mezzemaniche soggiogato dal potere dell’eurocrazia, a dettare la politica economica dell’Italia.

I media di regime si sono limitati a riferire un passaggio dell’intervento di Savona nel quale egli propone l’adozione di Btp perpetui esenti da imposizione fiscale e a rendimento fisso, slegandolo dal ragionamento che è a monte della proposta. Il “professore” parte da un dato di realtà nel presente tempo storico: il compito di sanare le crisi che comportano nuovi costi per la collettività spetterebbe alle politiche fiscali; invece, è stata la politica monetaria ha prendere il sopravvento. Ne consegue che sistema finanziario e sistema reale dipendono dagli orientamenti della politica monetaria che, per definizione, è meno democratica di quanto sia la politica fiscale. Affidare alla sola leva monetaria la stabilità finanziaria non è risolutivo, in particolare in una fase caratterizzata dalla marcata “finanziarizzazione dell’economia” che ha dato vita a “un’industria finanziaria sganciata dall’industria reale, che ha gonfiato i volumi di finanza, facendole perdere la natura di ancella dello sviluppo del reddito e dell’accumulazione di ricchezza”. L’effetto tangibile è il rovesciamento di quella che Savona chiama la “direzione di causalità tra l’azione politica e quella del mercato”, avvantaggiando la seconda rispetto alla prima. Ciò ha determinato l’indebolimento dell’osmosi tra i due pilastri della società capitalista: la democrazia e il mercato. Il blocco del reciproco controllo ne ha ostacolato la piena funzionalità che, per l’uno, si sostanzia nel redistribuire il reddito; per l’altro, nel produrlo e commutarlo.

La soluzione proposta da Savona guarda a una nuova architettura istituzionale che miri al buon funzionamento dei mercati monetari e finanziari e che contenga gli strumenti di controllo necessari ad arginare le fughe in avanti dell’industria finanziaria in continua evoluzione. La Consob di Savona è proiettata a garantire il raccordo tra ciò che si muove nell’immediato sul piano globale, e ancor più si muoverà nel futuro nell’Infosfera, e lo sviluppo economico dell’Italia il cui modello si è formato dal dopoguerra in poi sul tipo “export-led” con l’esportazione a fare da traino. A riguardo, per Savona lo stato di salute del segmento della produzione destinata all’estero è buono nonostante la crisi pandemica. Nondimeno, le piccole e medie imprese che costituiscono la spina dorsale dell’export italiano devono essere aiutate finanziariamente per rilanciarsi sui mercati. La presenza di grossa massa monetaria disponibile potrebbe agevolare le imprese purché il sostegno non si disperda in forme finanziarie errate.

Perché allora non approfittarne per tentare un esperimento di stimolo del capitale di rischio, alternativo all’indebitamento, che coinvolga le Pmi impegnate nell’export? È una rivoluzione copernicana quella che propone il politico Savona: impostare la ripresa coinvolgendo il grande bacino del risparmio italiano. Di là dalle leggende metropolitane di cui si nutre la pubblicistica dei media stranieri, gli italiani non sono cicale. Al contrario, sono formiche piuttosto parche. Le famiglie italiane, a dati 2019, dispongono di una ricchezza immobiliare, monetaria e finanziaria netta pari a 8,1 volte il loro reddito disponibile, “di cui 3,7 volte in forma di attività finanziarie, per un ammontare di 4.445 miliardi di euro”. Nei mesi della pandemia il risparmio è cresciuto; la perdita di valore delle azioni quotate nella borsa italiana è stata in linea con le borse estere ma – nota Savona – inferiore a quella delle altre borse europee. La posizione finanziaria dell’Italia rispetto agli altri Paesi mantiene un sostanziale pareggio.

Il che ci porta al punto focale che Savona coglie segnando la distanza dalla fumosità dei discorsi dei politici al Governo: “il nostro Paese non rappresenta un problema finanziario per il resto dell’Europa e del mondo, ma una risorsa di risparmio a cui l’estero attinge in diverse forme per la sua crescita”. Chiaro? Le imprese tedesche, olandesi o finlandesi, per fare degli esempi, crescono perché dal mercato finanziario attingono risorse provenienti anche dai risparmi degli italiani. E le istituzioni comunitarie anziché riconoscere all’Italia un ruolo trainante dell’economia comunitaria stanno a farci la predica sull’alto debito pubblico, come se fosse l’unico indicatore di sostenibilità di un sistema Paese. Per uscire dall’impasse la politica economica deve prendere in considerazione gli effetti positivi che scaturirebbero dall’utilizzo della leva finanziaria per la ricapitalizzazione delle imprese e, sul fronte pubblico, quale alternativa all’indebitamento per la copertura del deficit da maggiore spesa corrente. Per Savona l’aver concentrato gli interventi sulle garanzie e gli incentivi pubblici all’indebitamento ritarderà la ripresa produttiva. Parimenti per il Bilancio dello Stato: se per sostenere le politiche di welfare si farà ricorso a “prestiti obbligazionari pubblici e crediti ottenibili dall’Ue, tutti da rimborsare, il rapporto debito pubblico-Pil, già elevato, si innalzerà ulteriormente”.

E se il mercato non dovesse tenere in debita considerazione i fondamentali positivi della nostra economia, per l’Italia la ripresa sarebbe messa a rischio, unitamente al merito di credito dei suoi titoli di Stato. Da qui la proposta duplice di un Savona che supera di parecchie spanne le “mezzemaniche” del Governo penta-demo-renziano: “a) emettere obbligazioni pubbliche irredimibili (Consols), strumento tipico delle fasi belliche, alle quali la vicenda sanitaria è stata sovente paragonata: esse potrebbero riconoscere un tasso dell’interesse, esonerato fiscalmente, pari al massimo dell’inflazione del 2 per cento che la Bce si è impegnata a non superare nel medio termine; b) agevolare la formazione di capitale di rischio in sostituzione dell’indebitamento”. Le sottoscrizioni sarebbero volontarie ma i cittadini dovrebbero essere informati delle conseguenze in caso di rifiuto a percorrere la strada della responsabilizzazione verso il proprio Paese: si creerebbero i presupposti per una pesantissima imposizione fiscale. Diranno i soliti servi degli ottimati di Bruxelles: così si pagheranno più denari in interessi. Sbagliato. Il maggior onere sui titoli verrebbe ampiamente compensato dalla drastica riduzione della spesa pubblica destinata a sussidiare il reddito delle persone e delle famiglie. Tale orientamento concretizzerebbe l’obiettivo trasversale dell’autorità di vigilanza sul risparmio: “ancorare nuovamente la finanza all’attività reale”. Ieri l’altro, su Roma è volata un’aquila. Peccato che i distratti di Villa Pamphilj, che a chiacchiere dicono di volere il bene dell’Italia, l’abbiano ignorata.

Aggiornato il 18 giugno 2020 alle ore 10:26