La resistenza di Palamara

Confesso che, per qualche istante, ho pensato di assistere alla riedizione delle puntate di “Porta a Porta” nelle quali l’immarcescibile Bruno Vespa, con tanto di supporto fotografico dei luoghi maledetti, intervistava la povera Annamaria Franzoni, trasformando in spettacolo un dramma.

Poi, mi sono ricreduto. L’area dell’ineffabile, questa volta, era molto più estesa e presentava insidie ben più pericolose, abilmente sfruttate da Luca Palamara per mostrare ai molti interessati la sua determinazione a resistere.

La Franzoni cercava disperatamente di difendere se stessa; Palamara, invece, rassicurava gli altri. Infatti, non ha detto nulla: nulla che non sapessimo già e che potesse compromettere il sistema di cui ha parlato solo superficialmente.

La scelta di presentarsi in tv e precisare che di alcune cose avrebbe riferito solo nelle “sedi competenti” suona come un segnale, l’anticipazione di una linea difensiva vantaggiosa per tutti. È come se avesse detto: “Non dirò nulla di compromettente, state tranquilli”.

Quando l’indagine è finita, e le carte sono scoperte, iniziano i lavori di aggiustamento: ci si prepara alla fase successiva, si serrano le fila. Si lanciano i messaggi. Questa volta, il messaggio era: tutti colpevoli, nessun colpevole.

Certo, Palamara sa di avere chiuso; ma sa, anche, che la sua salvezza gli impone di fare come un buon soldato caduto in mano nemica: dire soltanto nome e numero di matricola. Niente altro.

La Franzoni muoveva a compassione. Palamara suscita interrogativi, primo fra tutti quello relativo al nome di chi prenderà (ha preso?) il suo posto.

L’ho detto più di una volta: il Consiglio superiore della magistratura deve essere sciolto in quanto delegittimato. Un organo costituzionale eletto in queste condizioni è una mina per l’intero sistema.

Se, in attesa delle riforme, concediamo ai signori delle chat e delle mailing list il tempo di riorganizzarsi, tutto sarà come prima. Anzi: peggio di prima.

Aggiornato il 01 giugno 2020 alle ore 11:41